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LACRIME DI BORGHETTI – L’immagine di un femminicidio

“In una via leggermente in pendenza, fiancheggiata di auto e camion distrutti, notai sul marciapiede un uomo, con una mano appoggiata a un lampione. Era un soldato, sporco, mal rasato, vestito di stracci trattenuti da spaghi e spilli, la...

Giovanni Montopoli

"In una via leggermente in pendenza, fiancheggiata di auto e camion distrutti, notai sul marciapiede un uomo, con una mano appoggiata a un lampione. Era un soldato, sporco, mal rasato, vestito di stracci trattenuti da spaghi e spilli, la gamba destra amputata sotto il ginocchio, una ferita fresca e aperta da cui colavano fiotti di sangue; l'uomo teneva sotto il moncherino una scatoletta o un bicchierino di stagno e tentava di raccogliere quel sangue e di berlo rapidamente, per evitare di perderne troppo. Compiva quei gesti metodicamente, con precisione, e l'orrore mi afferrò la gola".

Sono costretto a prendere in prestito le parole di Max Aue, l'indimenticabile protagonista de Le benevole, il romanzo capolavoro di Jonathan Littell,  per descrivere, nel modo meno inesatto possibile, la sensazione di disgusto, strazio e abiezione che ho provato quando l'arbitro ha assegnato alla Juventus il calcio di rigore che le ha permesso di sbloccare - e vincere - la partita odierna contro il Palermo e, in questo modo, di celebrare davanti al proprio pubblico la conquista del secondo scudetto consecutivo da quando la allena Antonio Conte. Non dedicherò molte parole alla descrizione dell'azione, che immagino tutti abbiano avuto modo di vedere - di fatto, un velleitario lancio in area di rigore verso Vucinic, l'anticipo non proprio pulito ma efficace e soprattutto corretto di Donati, la vigorosa presa di posizione con il corpo di quest'ultimo, con tanto di innocuo e fisiologico appoggio con il braccio, la rovina a terra dell'attaccante montenegrino, l'incomprensibile fischio dell'arbitro con contestuale indicazione del dischetto, la realizzazione di Vidal, il boato dello stadio, la celebrazione del goal. L'immagine di una festa? No, per me, l'immagine di un femminicidio. CONTINUA A LEGGERE