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Matthäus: “L’Inter dimostri di essere da Champions. Lautaro super, su Spalletti e Suning…”

L'ex centrocampista nerazzurro ha rilasciato una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport

Marco Astori

In nerazzurro dal 1988 al 1992, Lothar Matthäus ha scritto la storia dell'Inter, vincendo anche il Pallone D'Oro. Ieri l'ex centrocampista tedesco è stato inserito nella Hall of Fame del club e, a margine dell'evento, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport.

Matthäus, Inter-Napoli è il suo match.

«Non dimenticherò mai quel gol scudetto. Allo stadio c’era un’atmosfera incredibile, soprattutto nel secondo tempo. Gol di Careca, Berti pareggia e poi... Abbiamo vinto lo scudetto non contro Ascoli o Perugia, con tutto il rispetto, ma contro il Napoli di Maradona che tra l’altro non era amatissimo soprattutto nel nord Italia».

Ci racconti quel gol.

«Punizione centrale, Brehme aveva fatto un po’ di casino e qualcuno del Napoli non aveva rispettato la distanza. Per fortuna l’arbitro ha fatto ripetere e ho detto a Andy di non scherzare e di farsi da parte. Ho visto che tra il secondo e il terzo uomo in barriera c’era un buco e ho rischiato, mirando proprio sul muro. Impossibile dimenticare l’esplosione di San Siro!».

Lei ha vinto di tutto, compreso un Mondiale. Ma quell’attimo è tra i ricordi più belli della sua carriera?

«Non solo quello, tutti e quattro gli anni interisti sono stati speciali. Avevamo una buona squadra, anche se non la migliore. Il Milan aveva un gioco più piacevole per la filosofia di Sacchi, molto diversa da quella di Trapattoni. Venendo dal Bayern, da fuori preferivo come giocavano i rossoneri. Ma poi non abbiamo fatto il catenaccio che sembrava il marchio del Trap. Giocavamo in attacco, Serena è stato capocannoniere, avevamo la difesa meno battuta».

Cosa crede di aver portato in quella Inter?

«La mentalità vincente. Lo stesso Bergomi, che pure aveva già vinto un Mondiale, ha spiegato che prima del mio arrivo l’Inter giocava per vincere in casa e per non perdere fuori. Avevano paura di giocare a Udine, a Pescara, a Lecce... Ho detto “non scherziamo, siamo forti e andiamo lì a imporre il nostro gioco”. E non vincevamo per 1-0, ricordo un 6-0 a Bologna, un 3-0 a Pisa...».

Lei è stato a Milano solo 4 anni ma è entrato nel cuore dei tifosi per sempre.

«Fare parte di questa famiglia mi rende molto orgoglioso, così come l’essere stato preferito dai tifosi, per la Hall of Fame, a chi ha vinto più titoli di me. Alla festa per i 110 anni c’erano diverse generazioni di interisti, anche se purtroppo non quella che ritengo la vera icona nerazzurra: Giacinto Facchetti. Un uomo e un calciatore davvero unico, ci è stato molto vicino anche in quegli anni».

 

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