- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
copertina
Getty Images
Intervistato da La Gazzetta dello Sport nel giorno del suo compleanno, il difensore dell'Inter Francesco Acerbi ha parlato del momento dei nerazzurri e anche del suo futuro:
«Che nella vita è sempre necessaria una sfida. A me è servita, prima con mio padre, poi con la malattia. Ora la sfida è con me stesso. Ed è quella giusta, che tutti dovremmo affrontare. Perché è quella che ti fa avere sempre l’ambizione di migliorare».
«E invece c’è stato il pari con il Monza, che per una squadra come l’Inter non deve accadere. Il Napoli è una macchina da guerra, ma non dirò mai che per lo scudetto è finita: abbiamo ancora il 5% di possibilità e dobbiamo crederci. Loro dovrebbero rallentare, ma noi dobbiamo pensare di poter vincerle tutte».
«Avremmo dovuto avere 5-6 punti in più. E allora, con lo scontro diretto di ritorno ancora da giocare, il distacco sarebbe stato meno duro...».
«Prendiamo l’Empoli come esempio: inconsciamente pensi di poterla vincere in qualche modo, ma a volte non basta. E magari ti capita un imprevisto. Nelle gare “secche” c’è una motivazione diversa, ma quella fame dovremmo averla sempre. Se abbiamo la cattiveria giusta, vinciamo: su questo non ho dubbi. A volte, però, ci è mancato un po’ di mordente».
«Se stiamo bene tutti, possiamo essere noi la sorpresa. Il girone ci ha dato fiducia: il Porto è forte e fisico, ma possiamo batterlo. E poi, una volta ai quarti, tutto può succedere: dipende da forma, morale, fortuna. E noi ci arriviamo con Lukaku e Brozo in più».
«Non lo so, è la verità. Vorrei restare, qui sto bene. Anzi, una cosa la so per certa: non arriverò un’altra volta ad agosto senza conoscere il mio futuro. A luglio voglio sapere dove giocherò. Spero si trovi una soluzione al più presto per il mio riscatto: ho 35 anni, ma sto benissimo fisicamente e mentalmente».
«È intelligente, simpatico, empatico, sempre positivo. È fortunato, ma la fortuna se la va a cercare e la merita. Un profondo conoscitore di calcio, sa tutti i giocatori del mondo: incredibile! Ed è uno che attrae le persone. Da Roma a Milano, è rimasto lo stesso».
«Sapevamo tutti che aveva un’offerta Psg, ma non ci ha mai detto nulla. E a noi interessava poco... Abbiamo sempre visto l’impegno, questo ci importava. Poi a fine anno sarà un dispiacere vederlo andare via e non sarà facile sostituirlo: i giovani difensori bravi sono pochi e costano, vedi Scalvini».
«È un piacere avere Lautaro come compagno, per come lotta in campo mi ha impressionato. Lukaku se sta bene è devastante, non è marcabile. Edin ha un’eleganza fuori dal comune: anche se sta così così, 2-3 soluzioni a partita le trova sempre. E poi Correa: è in difficoltà, cerchiamo di aiutarlo, ma vale gli altri».
«Un tempo pensavo che con un’altra testa avrei fatto 15 anni nel Milan ad alti livelli. Ma oggi dico di no. Senza la malattia, a 28 avrei smesso. O sarei in B, che ne so, al Cittadella... Con i tumori è iniziata la mia vera carriera: mi hanno dato una seconda possibilità».
«Ho una preghiera, tutta mia: è lunga due pagine, ma ci metto 40 secondi a dirla perché la recito a memoria velocissimamente».
«Vorrei farlo. Ma oggi pare quasi una moda, il patentino lo prende anche un idraulico. E va bene, è giusto che tutti abbiano questo sogno. Ma con un limite, si dia la priorità a chi ha giocato. Io mi sento portato, perché capisco i giocatori. E poi ho vissuto tutte le sfumature: ho toccato il fondo e sono andato in alto».
«L’empatia. Fa la differenza con i giocatori e viene prima di ogni modulo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA