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Chivu: “Sarà stagione importante. Esposito può fare carriera. Casadei e Fabbian…”

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Il tecnico della Primavera dell'Inter è carico in vista dell'inizio del campionato: domani la prima giornata
Fabio Alampi Redattore 

Cristian Chivu si appresta a iniziare la sua terza stagione consecutiva alla guida della Primavera dell'Inter: i nerazzurri debuttano in campionato domani, ospitando al Konami Youth Development Centre i pari età dell'Empoli. In vista della prima giornata, il tecnico rumeno ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport.

Cristian Chivu, chiudiamo la scorsa stagione con un commento finale?

​"È stata di crescita, abbiamo usato tanti sotto età ed è quello che volevamo fare: farli crescere, abituarli alle difficoltà. È stata una stagione in crescendo, perché abbiamo cominciato maluccio ma poi siamo riusciti a crescere dal punto di vista individuale e collettivo".


Passando al presente, com'è stato il precampionato?

"Abbiamo cercato di non ripetere gli errori commessi, abbiamo abituato la squadra a fare partite di un certo livello. C'è una grossa differenza tra gli Allievi Nazionali e la Primavera – l'intensità, della fisicità degli avversari –, quindi abbiamo affrontato avversari di livello. Sono amichevoli che dicono poco, era importante abituarsi a quella fisicità e mettere minuti nelle gambe per farsi trovare pronti all'inizio della stagione. Giocheremo ogni tre giorni".

È un ritmo da prima squadra, non è facile.

"Non è facile, ma è bello. In Youth League affronti squadre di livello internazionale e vivi l'esperienza del viaggio con la prima squadra. I giocatori devono abbracciarla e imparare, devono confrontarsi con la realtà del calcio internazionale dal punto di vista del ritmo, della spensieratezza: è un calcio meno tattico rispetto alla Primavera, gli avversari si basano di più sulle scelte individuali".

Che competizione è?

"Tutte le squadre cercano di fare un calcio propositivo nei limiti del possibile e affrontarle è sempre una bella esperienza da cui si traggono benefici e si impara. Ci si confronta con giocatori che cercano di diventare protagonisti in altre realtà".

Che ambizioni ci sono quest'anno, a livello di risultato?

"Noi non ne abbiamo mai avute. A noi interessa la crescita individuale, che poi passa attraverso la crescita collettiva e da cui arrivano poi i risultati. Stiamo cercando di dare un'educazione sportiva e atletica, preparare i giocatori a quando usciranno dal settore giovanile, con un bagaglio che si porteranno dietro per fare una carriera importante. Il risultato è la conseguenza della crescita, non mettiamo mai il risultato prima della crescita".

Lavorare con i giovani è una grossa responsabilità.

"Spesso qualcuno se lo dimentica. È l'ultimo passaggio del settore giovanile, bisogna prepararli al meglio. L'anno dopo magari i ragazzi si trovano in realtà diverse con i grandi e lì tutto è diverso".

Come si coordina con Simone Inzaghi?

"Abbiamo delle gerarchie ben precise: la prima squadra ha priorità in tutto e noi dobbiamo essere a disposizione. La prima squadra ha sempre bisogno di giocatori e noi siamo disponibili a darglieli e nel frattempo a preparare i calciatori per il salto. Cerchiamo sempre i giocatori più pronti da mandare con Inzaghi per gli allenamenti e, perché no, per fare qualche minuto di partita".

Vi sentite spesso?

"Ci sentiamo quando c'è bisogno, poi durante le pause siamo presenti ad Appiano Gentile per metterli in condizione di fare allenamenti normali nonostante le assenze dei giocatori che vanno in nazionale".

Giacomo Stabile e Aleksandar Stankovic sono aggregati con la prima squadra sin dal raduno, è felice per loro?

"Io sono felice per tutti quelli che hanno la possibilità di stare in mezzo ai grandi campioni, con la speranza che abbiano la capacità di imparare e di rubare qualche segreto, magari anche il coraggio di chiedere qualche consiglio. Bisogna sempre ammirare quelli più grandi e cercare di mettersi nei loro panni per capire la strada che stanno facendo per essere dei campioni. Serve umiltà per capire che bisogna sempre 'rubare' dagli altri".

Si aspettava l'exploit in azzurro di Francesco Pio Esposito?

​"Ho lavorato con lui tutti i giorni, è stato vicecampione del Mondo con l'Under 20 e campione d'Europa Under 19. Racconto un aneddoto. In una partita gli ho dato la fascia da capitano senza avvisarlo prima, volevo vedere la sua reazione e il senso di responsabilità, vedere se avrebbe retto quella pressione. Il risultato? Tripletta… Credo di aver reso l'idea! Poi tutto ciò che farà in futuro non mi sorprenderà, ha le qualità per fare carriera".

Ebenezer Akinsanmiro, invece, arrivato a gennaio e subito in grado di impressionare?

"È un bel profilo, atleticamente ci stupisce tutti i giorni e tecnicamente è arrivato già di buon livello. Cerchiamo di trasferirgli quello che è il calcio dei grandi, dalla semplicità delle scelte alle letture che deve fare. È un ragazzo che si applica, ha capito il senso di responsabilità che ha per fare carriera. Ora alterna anche qualche allenamento in prima squadra, sono sicuro che farà un gran campionato".

Com'è il resto del gruppo?

"Io ritorno ai 2005 con cui ho iniziato qua e molti di loro li ritrovo in Primavera, mi fa piacere vedere che qualcosa che ho insegnato è rimasto. Abbiamo anche tanti 2006 sotto età e li faremo giocare perché è giusto che si confrontino con il calcio della Primavera. Ci aspetta una stagione importante".

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Cesare Casadei e Giovanni Fabbian: cosa c'è del suo lavoro in questi due ragazzi?

"Ho avuto la fortuna di lavorare con loro rispettivamente per due e tre anni, abbiamo cercato di dargli educazione sportiva e di responsabilizzarli. Sono felice che abbiano chiuso il ciclo vincendo il campionato Primavera e poi hanno spiegato le ali. Hanno accettato esperienze diverse e oggi sono giocatori di buon profilo che faranno una carriera importante. Il merito è tutto loro, non sono uno di quegli allenatori che si vantano: sono stati bravi ad accogliere i consigli. E lo stesso vale per altri ragazzi che magari partono da realtà minori e poi crescono con il tempo".

Quando qualcuno si allena con la prima squadra, al ritorno serve tenerlo con i piedi per terra?

"Bisogna essere sempre umili, anche senza avere la possibilità di andare in prima squadra. In un gruppo bisogna saperci stare, guadagnarsi il rispetto dei compagni. Poi con me le cose sono chiare: nessuno mi dice che chi va in prima squadra deve giocare quando scende, vale la meritocrazia. L'umiltà è il primo valore che cerchiamo di insegnare".

Qual è l'aspetto più bello di lavorare con i giovani?

"È una bella sfida. Torno un po' giovane, mi confront0 con una generazione che ha richieste diverse dalla mia. È una sfida, capirli e trasmettere i valori che serviranno non solo nel calcio. Mi sento più giovane, anche io cerco di apprendere il più in fretta possibile e di insegnare loro il calcio professionistico. Bisogna avere un bel senso di responsabilità e non superare una linea".

Quale?

"Siamo degli educatori, non dobbiamo far vedere quanto siamo capaci come allenatori".

C'è qualcosa che fatica a capire di questa generazione?

​"Sì e no (ride, ndr). Più che altro cerco di farli uscire dalla mediocrità, di evitare che si accontentino con poco. Bisogna sempre aggrapparsi a una motivazione che ti aiuta a raggiungere l'obiettivo che ti sei fissato. E poi fissarne un altro e via così, senza mai porsi limiti, uscendo dalla zona di comfort. A volte magari non riesco a far capire loro questi concetti. Ma poi si insiste, serve pazienza. È un po' come quando ricordi ogni sera ai tuoi figli di lavarsi i denti, funziona così per trasmettere loro questi valori".

Ogni tanto si rivede nei suoi giocatori?

"No, cerco di separare quello che ero io da ciò che sono loro, è giusto così. Bisogna prenderli come sono e poi trasmettere le esperienze vissute. Non è mai giusto pensare a come ero io, sono generazioni diverse con valori differenti. Non so se è meglio o peggio: secondo me meglio, perché hanno accesso a tante cose, però a volte quell'accesso ti fa perdere la passione che serve o dimenticare che le due ore di allenamento a volte non bastano".

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Ci sono sempre polemiche sul livello del campionato Primavera.

"Innanzitutto, bisogna ricordare che è l'ultimo anno del settore giovanile. Parliamo di ragazzi che a volte – per merito - saltano una o due categorie per arrivare direttamente in Primavera, quindi giustamente non sono prontissimi a competere a livello atletico. Però credo che nelle difficoltà si migliori molto di più. E i ragazzi bisogna metterli in difficoltà. È un campionato competitivo con squadre preparate e allenate bene, però è comunque un campionato giovanile. Serve pazienza e capire che all'inizio magari il ritmo non è altissimo e che, se giochi con i sotto età contro i fuoriquota, fai un po' fatica".

E ogni programmazione è diversa.

"Ci sono squadre come l'Inter che vogliono crescere i giocatori senza investire per vincere subito e altri club che invece vogliono vincere a tutti i costi. Non esiste una ricetta per le giovanili".

In cosa è cresciuto in questi due anni, come allenatore?

"Cresco ogni giorno, umanamente e come tecnico. È una bella sfida, c'è confronto e mi tolgo delle belle soddisfazioni quando i ragazzi sono migliorati o apprendono in fretta le nostre richieste. È questo il nostro compito e non bisogna perderlo di vista. E poi dal punto di vista umano mi fa crescere, cresco insieme a loro".

Come si vede tra cinque anni?

"Io non so cosa farò domani (ride, ndr). Fra cinque anni vorrei essere parte di una partita importante, una finale o comunque un match decisivo, e devo affrontare uno o più ragazzi che ho cresciuto. O magari averne qualcuno con me...".

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