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Antonio Conte è sicuramente l'uomo più chiacchierato del momento. L'ex tecnico del Chelsea tornerà in pista nella prossima stagione e su di lui si stanno muovendo tutti i grandi club, compreso l'Inter. Intervistato da La Gazzetta dello Sport Conte ha parlato anche del suo futuro:
Il calcio è arte o scienza?
«È un mix. Bisogna incorporare ogni cognizione scientifica, ogni contributo medico o tecnologico. Allo stesso modo è centrale il talento, la dimensione creativa dell’organizzazione del gioco come del gesto dei singoli. Arte e scienza, insieme».
Perché negli otto anni di scudetti, né nel ciclo suo né in quello di Allegri, la Juventus riesce a vincere in Champions?
«Parliamo di cicli totalmente diversi. Io prendo una Juve non protagonista assoluta, anzi scomparsa dalla Champions. Avevamo giocatori buoni con poca esperienza, tranne Pirlo, in Champions. Di qui i risultati. Il Chelsea era arrivato 10°, non aveva partecipato neanche all’Europa League. Abbiamo vinto la Premier e l’anno dopo fatto la Champions. Passato il primo turno, siamo usciti con il Barcellona. Cicli diversi.In quegli anni si faceva di necessità virtù. Non mi è mai capitato di prendere una squadra ai vertici. Sono sempre partito da situazioni difficili e sono riuscito a conquistare la vetta. La Juve oggi è cresciuta. La struttura è al livello delle prime 3-4 del mondo».
Cosa pensa dell’eliminazione della Juve con l’Ajax?
«La Champions non è il campionato. Il campionato di solito lo vince la squadra più continua. La Champions spesso è decisa da partite alle quali arrivi nel momento giusto o nel momento sbagliato. Un infortunio in più, in meno, palo-rete, palo-fuori. Detto questo può esserci sempre la sorpresa nel percorso. Come l’Ajax. Ci sono squadre più forti, parliamoci chiaro. L’Ajax ha undici giocatori effettivi, nella fase di possesso e nella fase di non possesso. Giocatori che hanno entusiasmo, voglia di correre con e senza palla, di andare in avanti, difendersi in avanti e non in braccio al portiere. E occhio al calcio inglese: abbinano mezzi economici a una nuova cultura tecnica. L’avvento di tanti allenatori stranieri ha travolto la vecchia mentalità che sottovalutava l’aspetto tattico. Che ora si sposa con l’ardore e l’intensità inglese».
Perché lei decise all’improvviso di andare via dalla Juve?
«Erano stati tre anni molto intensi, avevamo portato la macchina a spingere più di quanto potesse. Anni molto logoranti, sotto tutti i punti di vista. Penso che anche nelle migliori famiglie si possa litigare. In quei tre anni ho dato tutto me stesso.Come ho fatto ovunque sia andato. Mi sentivo in debito con Agnelli. Ricordo la promessa fatta: “Ci vorrà tempo, ma l’obiettivo è tornare sul tetto del mondo”. Non sono riuscito a completare la promessa».
E tornerebbe un giorno per completare questa promessa?
«I matrimoni, per esserci, devono essere da ambedue le parti. Penso che la Juve abbia iniziato un percorso e penso che siano molto contenti di Allegri che sicuramente ha continuato il lavoro, sta facendo molto bene. Un domani non si sa mai».
Una società che voglia Conte cosa deve proporgli?
«L’esperienza che ho fatto all’estero mi ha reso più forte e completo. La consiglierei a qualsiasi allenatore italiano. È dura, però ti migliora. Oggi se qualcuno mi chiama sa che io devo incidere, con la mia idea di calcio e con il mio metodo. Non sono un gestore, non credo che l’obiettivo di un allenatore sia fare meno danni possibile. Se pensano questo, le società non mi chiamino. Trovo umiliante per la categoria sentire una cosa del genere. Io voglio incidere, perché sono molto severo con me stesso. Poi ho un problema: la vittoria. Che sento come l’obiettivo del mio lavoro. Il percorso per arrivarci è fatto di lavoro, di sacrificio, di unità d’intenti, di pensare con il noi e non con l’io. Non ne conosco altri».
Vale anche per Inter o Milan?
«Vale per qualsiasi squadra. Io devo avere la percezione di poter battere chiunque. Devo sentire che vincere è possibile. Altrimenti, senza problemi, posso continuare a restare fermo».
I tifosi della Roma sognano Totti presidente e Conte allenatore. Rimarrà un sogno?
«Mi sono innamorato di Roma frequentandola nei due anni in cui sono stato c.t. della Nazionale. All’Olimpico senti la passione da parte di questo popolo che vive il calcio con un’intensità particolare, che per la Roma va fuori di testa. Che vive “per la Roma”. Un ambiente molto passionale, che ti avvolge. Oggi le condizioni non ci sono ma penso un giorno, prima o poi, io andrò ad allenare la Roma».
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