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Una vera e propria trasformazione. Con Antonio Conte in panchina l'Inter è cambiata, si vede la mano del tecnico su una squadra radicalmente diversa, più matura. Le vittorie nei big match contro Juve, Lazio e Milano sono lì a dimostrarlo. Ma c'è una cosa che il tecnico nerazzurro non riesce proprio a mandar giù, la sconfitta. "Mi fa stare male, so che la vivrò solo. Non perché il mio staff o i miei amici mi lascino solo, ma vivo una sorta di solitudine interna. Sento addosso la responsabilità. Per questo non voglio viverla. Durante la partita l’idea della sconfitta mi spinge a tirare fuori le unghie per azzannare tutti", racconta Conte in una lunga intervista al Corriere della Sera.
"La «Pazza Inter» ha trovato un punto d’equilibrio?
«Se vuoi stare davanti agli altri devi avere costanza di rendimento: la stabilità è al di là dell’avversario».
"L’Inter è prima e davanti al Milan: il gap con la Juve è colmato?
«Il competitor, la Juve, aveva creato un solco. L’Inter da un anno e mezzo è una squadra che ambisce a vincere. Le altre (Napoli, Milan, Atalanta, Roma, Lazio) stanno crescendo. Noi cresciamo utilizzando la scorciatoia del lavoro».
"La sua ultima Inter è una squadra che gioca un 3-3-4. Hakimi e Perisic sono due esterni offensivi, più Eriksen e un giocatore straordinario ma non ordinatissimo come Barella. Come si tiene l’equilibrio in campo con una squadra così spinta in avanti?
«Io dico ai calciatori che nel momento in cui stiamo attaccando bisogna essere pessimisti. L’ottimista è quello che pensa che non perderà la palla e non si prepara, il pessimista sì, pianifica maggiormente. Serve un grande equilibrio, per me il massimo è attaccare con 5-6 giocatori. Hakimi e Perisic, più Eriksen che è un trequartista e Barella un assaltatore. Nella prima parte del campionato creavamo tanto, ma eravamo un po’ scoperti e abbiamo preso troppi gol: ora c’è un buon equilibrio e tutti partecipano alle due fasi».
"Se si parla di Conte, però si parla di contropiede e si accenna al difensivista: perché?
«Quando si parla di me c’è sempre un però: è bravo, però... Quel però mi stimola. Ho studiato tanto calcio e quando sento dire che non si inventa nulla credo sia una bugia, detta ad arte da chi non vuole mettersi in gioco. Il calcio è la mia passione, mi piace vedere le partite di allenatori che hanno un’idea. La cosa bella tante volte è rubare un’idea, tanti hanno preso da me. Quando rubi cerchi anche di farla tua quell’idea, la costruisci a immagine e somiglianza».
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