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“Arriviamo”: Inter, finalmente San Siro. D’Ambrosio un simbolo. Con queste vittorie…

Marco Macca

Ecco l'analisi di quanto accaduto a San Siro

Evidentemente, i tifosi faranno bene a rassegnarsi: almeno per il momento, con questa Inter, serve un cuore grande così. Per reggere all'urto della sofferenza, alla paura, agli errori che, anche stasera, si sono contati a fatica. Si dice che queste sono quelle vittorie "sporche" capaci di distinguere le grandi squadre dalle aspiranti tali. La speranza, per tutto il popolo interista, è che la partita contro la Fiorentina abbia tracciato una strada definita, possibilmente in discesa. Quella della definitiva rinascita, quella di chi stringe denti e pugni e guarda l'orizzonte con tutta la voglia del mondo di sedersi al tavolo delle grandi.

Che fosse una serata importantissima lo si era capito al gol di Marcelo Brozovic (anche stasera quasi soprannaturale per la sua capacità di correre e regalare fiato e sudore alla squadra) di sabato sera a Marassi contro la Sampdoria. L'impresa epica di Champions League aveva rotto gli argini, la trasferta di Genova aveva spalancato le porte. Ma quel destro all'ultimo respiro della gara del Ferraris aveva lasciato un senso di incompletezza, nonostante i tre punti. Serviva una conferma. Un'altra. Perché senza continuità viene complicato salire l'ultimo scalino, quello dove ti aspettano le più forti.

Difficile dire se dopo la partita contro la Fiorentina l'Inter abbia compiuto quell'ultimo passo. D'altronde, per larghi tratti della gara la Viola ha avuto il comando del gioco, mettendo Icardi e compagni alla corde. A un certo punto, l'ipotesi di perderla non sembrava poi così lontana. I margini di miglioramento, per quello che si è visto durante i 90', sono enormi. Questa squadra, se solo riuscisse a trovare più continuità all'interno della partita, potrebbe davvero fare un salto di qualità impressionante. Le pause ci sono e sono pure evidenti. Questione di mentalità da rafforzare, questione di meccanismi ancora da oliare e ottimizzare. Il cartello "lavori in corso" di cui vi avevamo parlato dopo la vittoria di Bologna è ancora presente e chissà ancora per quanto lo sarà. Ci sono notti e partite, però, in cui la vittoria può arrivare da dentro, dai meandri della determinazione, da una corsa a perdifiato, da uno sguardo. Danilo D'Ambrosio corre, eccome se corre. Lo trovi a combattere contro Mirallas, Chiesa. Al centro, sulla fascia. E poi lì davanti, pronto a raccogliere l'assist di Mauro Icardi.

E' il volto di un'Inter che non ha ancora trovato la sua vera identità. Che soffre, che a volte sembra assentarsi, ma che non molla. Mai. Nemmeno quando tutto sembra ormai scritto sulla pietra da consegnare alla storia. Dopo la sconfitta contro il Parma è cambiato qualcosa nella squadra. Lo si è visto contro il Tottenham, con la Sampdoria e anche oggi contro la Fiorentina. Vincere significa anche sudare, accettare la supremazia tecnica dell'avversario in alcuni tratti della partita, e rispondere. Ripartire. E correre. Proprio come Danilo D'Ambrosio, uno al quale Spalletti non rinuncerebbe mai (avete capito perché?).

La classifica ora ha spazzato via qualche ombra. Sono ancora lì, cupe e tetre. Ma chissà che presto non possano vagare verso altri orizzonti. L'impressione è che dipenda solo da Spalletti e i suoi. Di certo, per il futuro servirà qualcosa in più. Ma aver avuto la meglio contro un avversario tosto come la Viola, forse la squadra che esprime il calcio migliore questo momento in Serie A, è un segnale forte. Soprattutto perché è arrivato a San Siro (anche con la Viola, di martedì sera, 55 mila spettatori), dove i nerazzurri, quest'anno, non avevano ancora vinto. "Aspettate, ci siamo anche noi. Arriviamo presto", dice l'Inter. Ora serve correre come D'Ambrosio per non sprecare tutto e tornare al buio.