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Meno di dieci giorni è arrivato a Milano per la prima grande sfida della sua carriera da allenatore. Frank De Boer è pronto a ripartire dalla Serie A e dall'Inter. Una sfida difficile, affascinante, sicuramente intrigante. A La Gazzetta dello Sport, l'allenatore nerazzurro ha rilasciato una lunga intervista soffermandosi su più temi:
De Boer, quando ha capito che sarebbe diventato l’allenatore dell’Inter?
«Sono stato contattato un paio di settimane prima della firma, tramite il mio agente. Ho dato la mia disponibilità, il progetto nerazzurro mi è sembrato subito interessante, poi in un secondo momento ci siamo confrontati e ogni cosa è andata velocemente a posto».
Che cosa rappresenta l’Inter per Frank De Boer?
«È tradizione, è Italia. Se pensi al calcio italiano ti vengono in mente le tre grandi: Inter, Milan e Juve. A Milano, poi, sono passati fantastici giocatori olandesi: Jonk e Bergkamp da un lato, Van Basten, Rijkaard e Gullit dall’altro. Il prestigio del club nerazzurro ha avuto la sua influenza nella mia scelta, e io voglio essere coinvolto in questa grande storia».
Cosa pensa del calcio italiano? In passato non ha esitato a manifestare la sua preferenza per altri campionati...
«Penso che negli ultimi due-tre anni il vostro calcio abbia fatto enormi passi avanti a livello di mentalità: si pensa di più a proporre. Tempo fa, per esempio, Buffon non giocava mai la palla sui difensori e lanciava lungo per azzerare i rischi, adesso invece appoggia sempre ai compagni più vicini. Insomma, è cambiata la filosofia: non solo la Juventus, quasi tutta la serie A ha scelto un’altra strada. Prima era il solito calcio italiano: difesa eccezionale e uno-due grandi attaccanti là davanti chiamati a risolvere le partite; ci si appoggiava quasi esclusivamente a loro in caso di difficoltà. Oggi sono tutti coinvolti, e i progressi sono evidenti: non è un caso che la Juve sia recentemente arrivata in finale di Champions».
Da Herrera a Mourinho l’Inter è stata spesso contropiede, lei sembra più sacchiano...
«Per quanto mi riguarda, non voglio cambiare la storia dell’Inter, ma passo dopo passo possiamo crescere sotto molti punti di vista. Dobbiamo attaccare e difendere insieme. Poi, se ci sono momenti in cui si è stanchi, si può anche giocare a tratti in contropiede. Però, mai tutti dietro e due attaccanti lasciati là davanti a risolvere le cose...».
Nel 1999, a Barcellona, lei era allenato da Van Gaal, con Mourinho vice e Ronald Koeman assistente tecnico. In campo, fra i suoi compagni c’erano Pep Guardiola e Luis Enrique: è di fatto in Spagna che nasce il De Boer allenatore?
«No, no (ride, ndr), a quei tempi proprio non ci pensavo. Mi sembrava un ruolo con troppa pressione, ero sicuro che mi sarebbero venuti i capelli grigi per lo stress».
E allora quando ha deciso?
«In Turchia, ai tempi del Galatasaray. Avevo 32-33 anni, e iniziavo a pensare al calcio in maniera diversa, un po’ più da studioso del gioco. Guardavo Terim, e mi dicevo: “Non farei mai come lui se guidassi il Gala”. Gioco e modo di allenarsi dell’Imperatore proprio non mi piacevano. E infatti in campo parlavo molto, cercavo di dire la mia anche a livello tattico»
È stata dunque una reazione negativa a Terim?
«Intendeva il calcio nel modo opposto al mio. In allenamento, per esempio, ci faceva giocare due contro due in un campo di 50 metri, non ne capivo il motivo, mi sembrava assurdo, inutile, e lì ho deciso: da allenatore farò l’opposto».
Qual è il calcio di De Boer?
«Si gioca in undici, anzi con tutta la rosa. Organizzazione e unione d'intenti fanno la differenza, sempre. I singoli vincono una partita, la squadra porta a casa i titoli. Se vuoi giocare da solo, passa al tennis. Bisogna scegliere una direzione, seguirla e coinvolgere l’intero gruppo. I miei attaccanti segnano molto perché sono vicini alla porta, ma allo stesso tempo devono garantire il giusto apporto alla squadra anche in fase difensiva. Ronaldo (l’ex interista) fece 30 gol con il Psv, ma non vinceva niente. Solo se il team funziona si vince: se qualcuno si infor tuna deve esserci la possibilità di sostituirlo senza abbassare troppo il rendimento, e questo è possibile solo se si è squadra vera».
La sua storia dice 4-3-3 come sistema di base. Teme l’eccessivo tatticismo italiano? Crede che ci sia bisogno di maggiore duttilità a livello di sistemi?
«È vero, preferisco il 4- 3-3, ma possiamo pure fare altro, come il 4-2- 3-1. Non c’è nulla di male a cambiare. L’avversario va sempre studiato, bisogna individuare i punti deboli per capire come colpire meglio. Io voglio eccome che la mia squadra sappia cambiare due-tre sistemi anche nella stessa gara, ma per fare come Barcellona e Juve, brave a variare in corsa senza problemi, occorre una crescita generale dei ragazzi, ogni cosa passa dalla disponibilità e dalla qualità dei giocatori».
Quando pensa di poter definitivamente imprimere il suo marchio?
«Vedremo la mia Inter dopo quattro mesi, questa è la normalità. A gennaio sapremo veramente chi siamo. Sono qui da poco, e domenica inizia il campionato. Col mio staff dobbiamo inevitabilmente stare attenti anche all’intensità degli allenamenti, perché è cambiata la filosofia generale rispetto a prima. Se non gestiamo bene l’aspetto fisico, tra un mese potremmo avere tanti infortuni. Ricordo Klopp, che arrivò a Liverpool in ottobre e cercò di imporre immediatamente un lavoro energico, sullo stile del Borussia Dortmund, col risultato di incappare in parecchi infortuni, nove. A volte è meglio rallentare».
All’Ajax ha svezzato Suarez, crede che Icardi possa raggiungere i livelli dell’uruguaiano?
«Mauro ha solo 23 anni e ha segnato tantissimo. Lui sa che non è solo merito suo, ma di tutta l’Inter. Ogni giorno deve arrivare qui per diventare un giocatore migliore, in campo e fuori, curando pure il cibo e ogni altra cosa che possa alzare l’asticella del rendimento personale. Questa è la mentalità giusta. Anche Messi non smette mai di mettersi in discussione. Il giorno in cui pensi di aver raggiunto il top allora sei finito».
Che giocatore ha trovato?
«I movimenti di Icardi sono già fantastici, magari a volte deve capire che è meglio proteggere la palla e giocare semplice, per l’interesse della squadra. In ogni modo, ho visto in lui tanta energia negli allenamenti e nella gara col Celtic: mi è piaciuto vederlo felice nel servire l’assist a Candreva. Ovviamente vuole segnare, ma può fare la differenza in tanti modi. Dai, sono molto contento di Mauro, è il capitano, sa come voglio che lavori. Deve giocare per la squadra, e segnerà tanti gol».
E Banega?
«È un giocatore fantastico. Dobbiamo metterlo nelle migliori condizioni tattiche possibili. Sarà molto importante, perché fa la differenza quando ha la palla fra i piedi».
Meglio appena dietro a Icardi?
«Può fare tutto, ha grande intelligenza: bene a ridosso di Icardi, ancora meglio qualche passo indietro, bravo pure da regista. Con la nazionale argentina gioca a centrocampo, da interno, nel Siviglia faceva tutti i ruoli, e in Copa del Rey, contro il Barcellona, marcava addirittura Iniesta. Ha una qualità fantastica, è ciò che ci serve. Uomini come lui, Candreva e Perisic sono fondamentali, perché io amo la gente che sa giocare la palla a prescindere».
Juve troppo forte per tutti in Italia?
«È una grande squadra, la rosa è eccezionale. Hanno messo dentro Higuain, allo stesso tempo è partito Pogba. Dobbiamo capire come giocherà a centrocampo, e non è così sicuro che sia più forte dell’anno scorso. Grandi nomi sì, ma non sappiamo ancora se i grandi nomi sapranno anche essere squadra».
Obiettivo dell’Inter?
«Entrare in Champions, non ci sono storie. Il resto dobbiamo vederlo, comunque ci proveremo. Con una buona organizzazione e con la giusta mentalità si può ottenere qualsiasi cosa nel calcio. Sarà comunque durissima su tutti i fronti, perché Roma, Napoli, Lazio, Fiorentina e Milan sono ottime squadre e vanno rispettate».
Nel Napoli c’è Milik, scuola Ajax...
«Può fare molto bene. Attaccante vero, è più adatto al 4-4-2, ha energia e qualità, è uno dei migliori sinistri in Europa. Potrebbe aver problemi nel 4-3-3, però è giovane e può migliorare. La sua velocità non è delle più alte, ha comunque grandi margini: se fosse anche veloce costerebbe quanto Higuain...»
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