Edin Dzeko, ospite del programma televisivo Neuspjeh Prvaka condotto dall'ex calciatore Mario Stanić in onda su Arena Sport, ha ripercorso la sua carriera: "Amar Osim mi ha portato in prima squadra all'età di 16 o 17 anni. Ricordo che io e mio padre eravamo al supermercato. L'allora allenatore della Juniores mi chiama e mi dice preparati, domani andrai a Medjugorje per i preparativi con la prima squadra. In Repubblica Ceca avevo uno stipendio di 500 euro. Ero fuori casa, senza i miei genitori, pagavo l'appartamento. Non avevo la macchina, è capitato che non abbia mangiato niente per sette giorni. Chiamai i miei e dissi che non avevo niente da mangiare, immagina come potevano stare loro. Ai tempi non c'erano i social network, c'erano i messaggi ordinari. Dovevi acquistare credito per poter inviare un messaggio".
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Dzeko: “Sempre sognato l’Italia. Dura lasciare Roma, ma sapevo di poter giocare al top”
"Ho esordito in nazionale contro la Turchia sotto la guida dell'allenatore Fuad Muzurović e segnai un gol. Dopo tre giorni abbiamo giocato contro Malta, feci un assist ma mi infortunai. E dopo sono dovuto andare a Zagabria per firmare un accordo con il Wolsfburg. Sono stato tre anni e mezzo a Wolfsburg, ma volevo vedere a che livello ero, se potevo giocare con i migliori giocatori del mondo. Solo in Premier League potevo avere una risposta a questa domanda. Mancini allora era l'allenatore del Manchester City, ho vinto 5-6 trofei. Avevamo una buona squadra, alla fine abbiamo vinto il titolo perché avevamo un margine migliore del Manchester United. Tutti volevano giocare quella partita, il City non vinceva il campionato da 44 anni, ero euforico che non riuscivo nemmeno a immaginare che la partita potesse essere così. Quando Aguero ha segnato il gol decisivo sono stato il primo a raggiungerlo".
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"Sono stato al City per quattro anni e mezzo, ho firmato un nuovo contratto e l'anno dopo sono andato alla Roma. Non ho avuto un buon rapporto con Pellegrini, e l'Italia è sempre stata il mio sogno. I migliori giocatori giocavano lì, il mio sogno era imparare la lingua italiana. Quando sono arrivato in aeroporto mi hanno accolto cinquemila persone, non è stato difficile abituarsi. C'era anche Pjanić, per me è stato più facile adattarmi. È stato difficile per me lasciare Roma, dopo i sei anni che ho trascorso lì, c'è stato un leggero rilassamento, una sensazione di saturazione. Abbiamo fatto belle cose insieme, ho segnato 119 gol, ma era ora di cambiare, è tutto normale. Sentivo che potevo ancora dare qualcosa e che potevo ancora giocare ad alto livello".
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