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ESCLUSIVA Bellinazzo: “Futuro Inter, le opzioni che ha Zhang. Il nuovo main sponsor…”

Con Marco Bellinazzo de Il Sole 24 Ore abbiamo provato a fare chiarezza sugli scenari mondiali in rapporto al futuro dell'Inter

Marco Macca

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La situazione societaria dell'Inter si inserisce in un quadro geopolitico tutt'altro che trascurabile, se rapportato alle possibili decisioni di Suning in merito al futuro nerazzurro. Il tema societario resta caldissimo in casa interista e i tifosi si chiedono se davvero la famiglia Zhang, dopo più di 6 anni di continua ascesa, lascerà ad altri il timone del club. Con il noto giornalista de Il Sole 24 Ore, Marco Bellinazzo, abbiamo provato a fare chiarezza sugli scenari in ballo, partendo dal quadro tracciato in "Le Nuove Guerre del Calcio - Gli affari delle corporation e la rivolta dei tifosi", il nuovo libro di Bellinazzo (in uscita il 15 novembre, con presentazione il 16 novembre alla Feltrinelli di Piazza Duomo a Milano). Ecco le sue parole:

Il 15 novembre uscirà il suo nuovo libro: "Le nuove guerre del calcio. Gli affari delle corporation e la rivolta dei tifosi".

L'intento era quello di raccontare l'evoluzione del calcio negli ultimi 20 anni, in rapporto agli interessi delle corporation sportive, che si sono sovrapposti a quelli di altri soggetti, dai fondi di investimento ai grandi network planetari e ai fondi sovrani e autocratici. Stiamo assistendo a una trasformazione che rischia di modificare il calcio che conoscevamo, popolare e legato ai territori e che aveva al centro non gli interessi economici, ma la passione dei tifosi. E' una deriva cominciata già da qualche anno, che si è accentuata negli ultimi tempi e che rischia, da qui al 2030, di distruggere il modello di calcio che abbiamo imparato a conoscere e che amiamo, in favore di qualcosa di sempre più asettico.

Come si cambia questa tendenza?

Sicuramente facendo sì l'intera industria ritrovi la sua sostenibilità. E' stata la vulnerabilità economica ad accentuare questo fenomeno. Si può ragionare su modelli diversi di campionati internazionali per aumentare il fatturato dei club, da redistribuire però in maniera più equa fra tutte le società. Non un circolo chiuso, dunque, ma un sistema che valorizzi maggiormente il movimento rispetto al modello attuale della Champions League e dei campionati. Insomma, qualcosa che possa garantire un ricambio, sul modello americano che, non a caso, è quello più 'socialista'. Nel libro lo spiego: la suddivisione più equa dei ricavi permette di aumentare la competitività di tutti i soggetti che partecipano a un determinato campionato. Se le leghe americane presto fattureranno 50 miliardi di euro contro i 29-30 del calcio europeo nel suo insieme, pur avendo un seguito decisamente minore rispetto a quello del calcio europeo, è evidente che abbiano preso loro la strada giusta.

L'altro grande strumento che può invertire la rotta è quello dei modelli partecipativi, ovvero un modello di governance che possa rimettere al centro il tifoso. Le squadre di calcio non possono essere ridotte a mere società erogatrici di servizi e i tifosi a meri consumatori o clienti. All'interno di un rapporto asettico, i giovani, che sono i tifosi di domani, saranno sempre più attratti da spettacoli artificiali dei videogame o dell'intrattenimento attraverso i social, non certo dalle reali partite di calcio. Dobbiamo immaginare un modello in cui i tifosi siano anche qualcosa di diverso, in cui siano partecipi alla vita dei club. Il mio non è un attacco di nostalgia, ma bisogna ripensare a come coinvolgere maggiormente i tifosi. Non ci sono ricette uguali per tutti, ma varie soluzioni per garantire questa osmosi. Bisogna recuperare identità, storia e valori. E' fondamentale per preservare il calcio. Se non si agisce su questi due fattori, la conseguenza è l'inevitabile ridimensionamento del calcio nel campo dell'importanza che ha per le persone.

In questo senso è criticabile l'assegnazione dei Mondiali a un Paese come il Qatar, che di storia calcistica ne ha ben poca e che ha 'offerto' tanti spunti non proprio felici di discussione?

Assolutamente sì. Così come quella alla Russia e, allo stesso modo, la candidatura dell'Arabia Saudita per i Mondiali del 2030. Prima di quella data, l'Arabia Saudita ospiterà i Giochi Invernali Asiatici (2029, ndr). Non so come riusciranno a creare una stazione sciistica permanente. Evidentemente, i miliardi dei petrodollari possono anche questo. Ma, anche qui, si palesa questa deriva autocratica di cui oggi si ha poca consapevolezza. Il calcio è l'unico fenomeno social capace di incidere sull'umore di 4 miliardi di persone. E, quando controlli l'umore di così tanta gente, controlli il consenso. Non è un caso che la storia del calcio moderno sia iniziata nel 2003, quando un giovane oligarca della corte di Vladimir Putin come Roman Abramovich venne mandato ad acquistare il Chelsea per legittimare il nascente regime putiniano, laddove stavano emergendo le sue atrocità in Cecenia. Una storia che ricorda molto quello che sta accadendo oggi. Lì nacque il modello di un calcio dalle spese faraoniche sul mercato, in cui i soldi comprano tutto. E' una storia che si sta ripetendo con l'Arabia Saudita e l'acquisto del Newcastle. I governi stanno abusando del calcio per i propri scopi e, semplificando, per propaganda politica. Questo comporta anche la corsa ai grandi eventi sportivi. C'è poca consapevolezza di tutto ciò, ma bisogna fare attenzione, perché andrà a incidere sul modello di società che costruiremo da qui al 2030.

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