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Radunovic ha perso palla (un regalone) e lei era lì...
«Non capita spesso effettivamente, si è creata la cosiddetta bella occasione. Ma bisogna essere lì… Provarci sempre. Vista la palla dentro ho aspettato a esultare completamente: mi sono girato per guardare l’arbitro Orsato. “Dimmi che è buono” devo essermi detto. Gol vittoria. Sì, per ora il più bello in carriera proprio anche perché il primo in A».
Appena entrato nello spogliatoio come l’hanno celebrata?
«Con complimenti e sfottò. Un classico. Ricordo Orsolini che mi ha detto: “Oh, mi è toccato sbagliare un rigore per farti fare il gol vittoria…».
Lei ha vent’anni, un campionato Primavera vinto con l’Inter e 8 gol un anno fa con la Reggina di Pippo Inzaghi in Serie B. Come si allena il tempismo da gol?
«Tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno dato qualcosa, dalle giovanili allo stesso Pippo, poi Chivu, Nunziata. É un cosa innata, poi è chiaro che dopo la prima volta in cui ti riesce, beh, ci riprovi. E se risuccede...».
Modelli di interni da gol?
«Barella, Kroos, che comunque è certamente più elegante di me, ma da piccolino studiavo Pogba: due domeniche fa ho avuto la fortuna di giocarci contro».
Fabbian uguale… nonno Gabriele.
«Beh ormai questa dolcissima storia la conoscono tutti… Ma mancava un capitolo. La nostra famiglia è di origini contadine, lui giocava a calcio, credo nel Giorgione, era il classico libero di una volta, uno tosto. Lo voleva Nereo Rocco, credo al Torino. Purtroppo dovette dire no: il papà (Emilio, ndr) non lo lasciò andare perché famiglia e campi necessitavano di cure e attenzioni. Aveva 8 sorelle. Ecco: io sono la sua rivincita. Dopo il mio gol al Cagliari, a tutte le persone che lo hanno chiamato non riusciva a parlare: piangeva. Anche con me: era felice. E’ un classe ‘40 e sì, io sono orgoglioso di poter essere la sua rivincita verso il calcio che non ha potuto godersi».
La sua carriera è stata in ascesa quasi da subito e sempre a salire: momenti difficili?
«Quando mi misi a piangere io, ma dalla delusione. Avevo 14 anni ed era tutto fatto con l’Inter. Niente. Lunghi pianti, poi col Padova vincemmo l’Under 17 e mi presero l’anno dopo».
Dell’estate scorsa ad attendere Samardzic all’Inter; dell’Under 20 vincente al Mondiale ma non vissuta: racconti, please.
«Sono stato a Roma due giorni per le visite mediche. Per l’Udinese. E aspettavo. Considerando tutto non ho saputo cosa sarebbe stato di me per un mese. Estenuante ma intanto ero andato in tournée con l’Inter. Se c’era la Salernitana? No. Appena è arrivato il Bologna ho detto sì subito, per l’organizzazione, il livello alto e le parole di Motta. Per quel che riguarda il Mondiale Under 20, sì, mi è dispiaciuto ma lasciare la Reggina mi sarebbe suonato quasi come un tradimento dopo la bella annata».
E il dispiacere ad aver lasciato l’Inter?
«Non penso a ‘sta cosa. A parte che c’è una recompra ma sono felicissimo di poter essere qui: voglio giocare il più possibile».
In quell’Inter Primavera da scudetto, anche lei e Casadei eravate i “top”. Lui all’estero, lei in Italia: ha fatto bene lei o lui?
«Io e lui siamo come fratelli, abbiamo sempre vissuto assieme nel convitto interista, da compagni di stanza. Quando abbiamo compiuto 18 anni ci siamo presi un appartamento insieme a Milano. E ci sentiamo sempre: prendendoci un po’ in giro…».
Cosa serve ai giovani calciatori d’oggi?
«Il poter sbagliare»
Cosa le piace del Bologna?
«Che giochiamo bene a calcio».
E di Motta?
«A parte che è un tecnico molto preparato ma mi ha colpito subito una cosa. Mi ha chiamato, quando ancora non ero del Bologna, e ha elencato i miei difetti. Quando qualcuno ti vuole convincere elenca i tuoi pregi: lui no, e mi ha colpito. Mi ha detto dove devo migliorare. Significa che mi conosceva. Cosa unica».
Scusi Giovanni: ha un difetto?
«Sono permaloso. E, come mi ha detto Motta, devo imparare a legare di più i reparti». Difetti superabili.
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