Robin Gosens è un personaggio per nulla scontato. Nelle sue parole non c'è mai spazio per banalità e retorica, come conferma anche l'intervista concessa al magazine online Outpump. Queste le sue dichiarazioni:
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Gosens: “Inter? Sfida difficile, dovrò dare più del 100%. Sapevo che Perisic…”
Le parole del laterale tedesco arrivato ad Appiano Gentile nel corso della sessione di gennaio
INTER - «Solo le sfide difficili ti portano a un livello superiore. Se tu affronti sempre e solo le sfide facili non cresci mai come calciatore, ma soprattutto non cresci mai come persona. Ho sempre ringraziato di avere un mindset che mi porta a sfidarmi con i campioni, a scegliere la strada più difficile, così che io possa crescere. Poi è anche vero che queste possibilità nella carriera non vengono fuori tutti gli anni. Giocare per una delle squadre più importanti del mondo in uno dei momenti personalmente più difficili è stato interessante. Sapevo che l’inizio non sarebbe stato facile, che avrei visto i miei compagni da fuori per lungo tempo, però faceva parte della sfida».
PSICOLOGIA - «Ho iniziato a studiare perché mi affascina capire come funziona la mente, non solo la mia. Il mondo del calcio mette in contatto persone con culture diversissime. In uno spogliatoio puoi trovare gente da ogni parte del mondo, anche qui all’Inter rappresenteremo più di sette o otto nazioni. Poi, ovviamente, c’è una grossa fetta di comprensione individuale. Quando c’è la testa, le prestazioni in campo sono molto più facili, quando sei preoccupato, anche per cose che non riguardano il calcio giocato, le tue performance ne risentono. Io volevo capire da che cosa dipende stare bene in campo o stare meno bene in campo».
SETTORE GIOVANILE - «Non essendo cresciuto nelle giovanili professionistiche, per me è sempre esistita solo la squadra, il singolo non aveva senso d’essere. Fino a circa 18 anni ho giocato solo con gli amici, un contesto in cui esiste solo il godersi del tempo insieme facendo ciò che ami. Io non ho mai avuto la sensazione che il calcio fosse un qualcosa di personale, di individuale. Anche adesso è così, non è cambiato nulla. Anche se ho trattamenti personalizzati di fisioterapia oppure ho allenamenti individuali per la forza, so che è tutto lavoro che ovviamente influisce su di me, ma che serve più che altro per la squadra».
INFORTUNIO - «Ti devo dire onestamente che è stato il periodo più difficile della mia carriera. Non giocare per più di quattro mesi, quindi non fare contemporaneamente il tuo lavoro e ciò che ti diverte di più nella vita, è stata una sfida. Il primo periodo non è stato la cosa peggiore, perché tre giorni dopo è nato il mio primo figlio, quindi è stato anche il momento giusto per staccare un attimo. Con gli anni poi ho capito che questi passaggi, gli infortuni, fanno parte del gioco. Non sono un qualcosa che capita, ma sono parte del percorso, del tuo lavoro. Mi sono sempre detto, e anche questo fa parte del percorso psicologico, che se mi fossi preparato all’eventualità di qualcosa di negativo, quando sarebbe successo sarei riuscito a smorzare la gravità del tutto, sarei riuscito a gestirla al meglio.
RICADUTA - «Il momento peggiore. Dopo due mesi ero quasi pronto, ero vicinissimo alla prima convocazione. Ho avuto quattro o cinque giorni davvero difficili, anche a casa non ho voluto parlare con nessuno. È umano. Se qualcosa che ami, proprio mentre si sta per concretizzare, ti scivola via dalle dita, diventa difficile. Però con il supporto del mental training, ho provato a superare questo momento e fortunatamente adesso è passato».
DUELLO CON PERISIC - «Sapevo che Ivan sarebbe stato un compagno con tantissima qualità, ma se sai che giochi sempre e non ti devi impegnare per giocare, secondo me non ti fa molto bene. Io ora non devo dare solo il 100%, per meritare il posto, ma molto di più».
PRONTO AL DEBUTTO DA TITOLARE - «Se ho provato gioia da subentrato, nel derby o con la Salernitana, non immagino neanche l’esplosione di gioia di partire dall’inizio, tutti i momenti prima del fischio».
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