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La Gazzetta dello Sport ha intervistato il capitano dell'Inter Samir Handanovic che ha parlato della sua carriera in nerazzurro e anche dell'arrivo di Onana:
«Per me stare all’Inter dal 2012-12 è onore e responsabilità, ma pure appartenenza, identità. Se sono rimasto così tanto è perché qui sto bene e c’è stata una continua crescita, mia e del club».
«Non mi sono mai stufato: contano passione e fame. Qui c’è storia, sapevo che dopo i momenti duri sarebbero arrivate le vittorie».
«Emozionarsi per la maglia, sentire qualcosa di speciale. Vedere questo non solo come un posto di lavoro o guadagno, ma come qualcosa che dà sentimenti, a prescindere dalle vittorie o dalle sconfitte. Puoi pure andare via da qui, ma in tanti poi vorrebbero tornare...»
«No, perché ho visto come stava al Chelsea, ho ascoltato la sua famosa intervista, si sentiva malinconia e nostalgia. Devi sempre sapere in che spogliatoio vai e Rom sapeva che il nostro è sano, allegro, positivo. Nella vita spesso all’inizio si sceglie per motivazioni economiche, ma poi subentra sempre il benessere: se stai bene da una parte, è normale tu voglia tornarci».
«Nulla, non serviva. Piuttosto lo prendo in giro, si arrabbia ancora se perde una partitella! È come se non fosse mai andato via, è la stessa persona di prima, poi sul giocatore parlerà il campo».
«Per noi è normale, capisco che ad altri possa mettere soggezione. Allenarsi con lui aiuta da questo punto di vista, ma ho più paura dei piccoletti. I grossi li vedi...».
«Mai, ma non era un problema, era automatico da parte mia e anche il club non aveva problemi: si è trovata una intesa veloce e facile. E ora preparo la nuova stagione con determinazione. Dimentichiamo i successi e il mancato scudetto e pensiamo ai trofei da alzare».
«Le scelte è giusto che le faccia lui, il nostro rapporto è come deve essere quello tra un capitano e un mister: facciamo tutto per il bene dell’Inter. So quale è il mio posto, rispetto regole e gerarchie, poi se serve esprimo la mia opinione».
«Sono frasi importanti perché danno serenità all’ambiente, ma sappiamo tutti che ognuno vuole giocare: è giusto e sano così. Non mi avrebbe stupito se avesse detto il contrario. È normale competizione, fa bene a tutti».
«Siamo molto diversi, lui viene dalla scuola Barça e io da quella italiana: senza entrare nei tecnicismi, ci sono differenti approcci nella posizione, nel modo di stare in porta e parare. Ma pure questa diversità è un bene».
«Non lo so, ma ci sono tante partite ravvicinate, può succedere di tutto, e decide sempre l’allenatore. Ma da questa nostra competizione ne beneficia la squadra perché ha due portieri forti».
«È stato un dispiacere e un’amarezza enorme, ma è la vita. E una stagione non dipende mai da una partita. Io quella sera non gli ho detto niente, gli ho parlato il giorno dopo. Gli ho detto che quell’episodio lo farà crescere come portiere, ma soprattutto come uomo. Ionut deve sapere che risbaglierà, come tutti, ma che ha l’occasione di dimostrare le qualità».
«Non è una moda, ma una necessità. Se ti vengono a pressare, così guadagni un uomo nel campo: non dipende solo dal portiere, ma dal contorno che va allenato. Noi abbiamo iniziato con Spalletti e ora ci conosciamo a memoria. Ma dirò di più: il futuro va in quella direzione, chi vuole fare la partita avrà un portiere che imposta e il centrale a centrocampo. Ogni tanto lo abbiamo visto nel Sassuolo di De Zerbi con Consigli, e in maniera più spinta nel Marsiglia di Sampaoli con Pau Lopez».
«Intanto, sì, tra due tre anni mi vedo allenatore. Ma dipende sempre dai giocatori che hai... Noi all’Inter siamo forniti di tutto, oltre al portiere e a Brozo, si sono due centrali come Bastoni e Skriniar che si allargano velocemente: questo è fondamentale».
«Molto importante, per me è fondamentale che lui rimanga con noi. Non possiamo perdere altri pezzi. Io lo vedo ogni giorno tranquillo e sereno ad Appiano».
«Io gioco a “blitz chess”, 3 minuti totali a disposizione. Ti aiuta a pensare e ad agire velocemente, e qui torniamo al gioco coi piedi. Poi gli scacchi aiutano la concentrazione, forse più quelli tradizionali: ci giocavo con Hernanes. Nel calcio difendo, ma sulla scacchiera attacco, sono aggressivo: il modello è Michail Tal’, un grande».
«Ognuno ha il suo stile e fa ciò che ritiene giusto. Io neanche l’ho vista la festa, ero già tornato a casa».
«Luca. Un magazziniere. Ci aspetta sempre con un caffè e nei giorni tristi con un sorriso o una pacca sulla spalla. Mi fido di lui, mi piace stia con noi».
«Mi danno fastidio le valutazioni prevenute, che non analizzano le situazioni di gioco per intero. Non voglio entrare nei singoli casi, ma a volte ho visto prevenzione. Se costruisci un pensiero con argomentazioni dietro, allora sì che la critica mi piace. E aiuta».
«Barella ne sa più dei sommelier, ma anche a me piace la materia».
«Merlot in purezza e sa perché? Perché ha carattere, ha eleganza e può invecchiare diventando ancora più buono».
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