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Come è iniziata la carriera da dirigente?
"Mi ritengo strafortunato perché ho sempre sognato di fare questo lavoro. Avevo i miei modelli, persone che erano riferimenti importanti. Sapevo che dovevo fare una bella gavetta, l'ho accettata e ho rifiutato anche di fare strade più corte. Ho sempre preso tutto come arrivava, facendo sacrifici e facendoli fare alla mia famiglia. Non sono mai stati sacrifici per me e mai lo saranno, perché è la mia vita e la mia passione. Non riesco a viverlo come mestiere, ma è una grande responsabilità".
Che calciatore saresti stato?
"Avrei fatto il professionista. Ero molto in anticipo rispetto all'età, a 16 anni ero in prima squadra in Serie C1. Non so se sarei arrivato ad altissimo livello, qualcosa per arrivare in Serie A mi mancava. Sono stato bravo comunque a resettare dopo due anni di calvario, in cui ho sopportato tante cose. Non è da tutti".
Cosa ricordi del periodo degli infortuni?
"Dopo i primi interventi provi a rientrare, a far di tutto, perché è il tuo sogno. Ti ammazzi di lavoro e fisioterapia, poi lo capisci... quanto entri in campo e arrivi sempre un secondo dopo e l'altro ti mangia in testa, è meglio fermarsi. Fare il calciatore a livello amatoriale non mi interessava, voglio fare sempre cose ai massimi livelli e ho deciso di laurearmi in giurisprudenza e poi ho iniziato a lavorare da dirigente.
Ho anche tentato di fare l'allenatore, poi un presidente illuminato come Peduzzi della Pro Sesto mi disse che nel calcio non c'erano grandi manager e vedeva del talento in me. Ho pianto tante volte, ci sono stati momenti di sconforto, ma sono situazioni che è anche giusto vivere perché ti rendono più forte e responsabilizzato. Riesci a dare la giusta attenzione alle cose".
Il primo pianto dell'Inter?
"Non ricordo un pianto particolare. In qualche finale persa non ho pianto, ma un po' di amarezza è rimasta. Ma già dal giorno dopo c'era voglia di ripartire. L'ultimo trattenuto a Istanbul? Direi di sì".
Nel 1998 il primo incontro con l'Inter.
"Me lo ricordo perfettamente. Ci fu una trattativa anche lì con il responsabile del settore giovanile di allora. Volevano iniziassi a tempo pieno, ma a me mancava un esame e riuscì a vincere la trattativa per un periodo part time di 6 mesi con 4 ore solo al pomeriggio, che poi si trasformavano sempre in 8-10. Ho passato tantissime serate a Interello con il custode che veniva a darmi un panino, ma non mi è mai pesato. Ricordo la prima partita vera vista allo stadio con lo stemma dell'Inter era la finale di Coppa Uefa al Parco dei Principi Inter-Lazio. L'esordio da direttore sportivo lo ricordo con piacere, fu anche quello fortunato. Moratti mi fece chiamare mentre ero in Brasile, mi disse che voleva seguissi la squadra a Kiev nel 2010: fu decisiva anche per il Triplete. Da lì ho iniziato a seguire la prima squadra".
Come si resiste?
"Non è facile, ma il segreto è uno: ho sempre cercato di dare il massimo. Aver potuto lavorare con tre proprietà diverse è importante, mi hanno messo alla prova tutti e se sono rimasto è perché hanno visto qualcosa in me. La premessa è saper lavorare, poi restare non è scontato. Bisogna aver voglia di fare le cose fatte bene, con un gruppo di lavoro buono che è la vera fortuna. Da solo non fai più nulla, a maggior ragione adesso. Devi avere vicino persone capaci e io ne ho avute tante".
Le persone da ringraziare.
"Devo tantissimo a Moratti perché mi ha fatto entrare all'Inter e mi ha permesso di crescere. Il vero cambiamento è arrivato con Thohir, che mi ha dato incarico da direttore sportivo. Poi sono stati momenti difficili, ma è stato importante avere la fiducia della famiglia Zhang e di Steven, che non è arrivato subito. Dal suo arrivo a Milano è iniziato un nuovo percorso e ho sentito nuova fiducia. Voglio ringraziarli tutti e tre".
Il momento in assoluto più bello?
"Tantissime cose mi legano al settore giovanile, facemmo cose pazzesche. Abbiamo vinto tanto, la soddisfazione che però ti dà il settore giovanile è veder crescere i ragazzi. Abbiamo vinto tanti scudetti in questi 25 anni, ho dato il mio contributo perché negli anni di Branca mi dava anche grande responsabilità. L'ultimo, quello di Conte, è quello che sento mio al 100%".
Acquisto di cui vai più orgoglioso?
"Sono tanti, tutte storie belle e particolari. Rischierei di fare un torto a qualcuno, ma quella di Lautaro è una storia molto particolare perché di fatto era un giocatore dell'Atletico Madrid. Quando prendi un aereo e vai lì a tentare l'1% in una situazione compromessa al 99% rischi di fare brutta figura, ma furono 4 giorni pazzeschi. Mancava solo l'accordo con l'Atletico, c'era una clausola che per fortuna Lautaro non voleva esercitare e lì facemmo un grande lavoro di squadra.
Mi aiutò Zanetti con il suo procuratore, Milito con il loro durissimo presidente. Una volta chiuso tutto ci fu una partita disastrosa, perché lui fece 3 gol e un rigore procurato quella sera. Ci sedemmo di nuovo al tavolo il giorno dopo e lo pagammo qualcosa in più, ma riuscimmo a portarlo a casa. Anche a Balotelli mi legano ricordi bellissimi, anche averlo messo nel calcio che conta: si è giocato la possibilità al 70%".
La trattativa più complicata?
"Ce ne sono tante. Non è stato facile ad esempio strappare Pavard al Bayern, perché non volevano privarsene. In quella che ti sembra più scontata succede qualcosa a un minuto dalla fine".
L'acquisto mancato?
"Ce ne sono, ma meglio non ricordarli. Voglio fare il nome di Pierluigi Casiraghi, mio secondo padre dal punto di vista sportivo e professionale: vedeva quelli forti prima degli altri. Vide Fabregas a 16 anni, facemmo di tutto per prenderlo ma non ci fu possibilità. Ce ne sono stati tanti altri di giocatori trattati e poi andati da altre parti".
Qual è stata la più grande delusione della carriera?
"Delusioni in tanti anni ne hai più di una. Con Lukaku è delusione per come è finita, ma ho rispetto nel cercare di non parlare di un giocatore di un'altra società. Mi piace parlare al presente e al futuro, lui è stato parte del passato dell'Inter. Mi viene da ricordare uno scudetto meraviglioso, una bellissima plusvalenza, vera, e due finali perse".
Cosa è successo con Lukaku? Ci racconti la verità?
"Preferisco non parlarne. Dico solo che ci deve essere in tutte le cose educazione e rispetto. A un certo punto, le cose stavano andando avanti, ma sono venute a mancare proprio educazione e rispetto. Se c'è voglia di dirsi le cose negli occhi non c'è mai problema. Quando non si risponde al telefono, ci si nega o si risponda tramite altre persone, allora è il momento di voltare pagina. Da quell'8 luglio è andata così. Telefonata in cui mi sono arrabbiato? E' una leggenda. Ci fu questa telefonata dopo vari tentativi, ma è durata poco. Fu decisa, ferma, ma niente di particolare. Dissi ciò che pensavo in poco tempo".
Lukaku, Samardzic e Skriniar: che estate...
"Sono esperienze, dalle sconfitte sul campo a quelle di mercato. Si impara sempre qualcosa".
Quante volte sei stato oggetto di trattativa?
"E' successo. Non ho mai avuto la voglia di andar via. Ci sono stati contatti, situazioni, ma mai una negoziazione o parlato di un progetto. Fondamentalmente non ho mai avuto il pensiero di lasciare un club così, è troppo difficile. Ti legano troppe cose, al di là del blasone: è la mia seconda famiglia. Per me è diverso dagli altri. Arriverà il momento in cui un presidente mi dirà che è giusto cambiare e potrò solo dire un enorme grazie".
Hai una data di scadenza in testa?
"La pensione l'ho maturata, ma mi piace vivere guardando un po' in là, ma non troppo. Finché andro bene a Steven... Qui sto benissimo, lavoro benissimo con Marotta e con Baccin. Abbiamo segretari e scout meravigliosi, ci affidiamo a persone capaci".
Ausilio e Marotta?
"E' una bella coppia, funziona perché c'è rispetto. Lui capisce di calcio, ha anni di esperienza, ma ha una grande qualità: delega e dà fiducia alle persone che ha. Io a mia volta trasmetto lo stesso alle persone che mi sono vicine. Penso che sia intervenuto per dire no su un calciatore un paio di volte in questi 5 anni, ma solo perché magari già conosceva il calciatore o aspetti caratteriali che io non conoscevo. Ti lascia lavorare, poi ci si confronta. Permette al direttore sportivo di concentrarsi proprio sul suo lavoro, perché io non ho tempo e voglia di concentrarmi sui rapporti, la comunicazione e altro. Mi concentro sull'allenatore, calciatori e incontri con gli agenti con un'attenzione al 100%, senza perdere concentrazione in cose che non sono mie".
Lautaro-Thuram?
"Bella coppia, ma mi piace parlare di quartetto. Loro stanno funzionando benissimo, ma abbiamo anche Sanchez e Arnautovic, che ci farà vedere cosa può dare".
La prima volta che hai notato Thuram?
"Dopo la cessione di Lukaku al Chelsea. Non sapeva neanche di essere una prima punta. Venne preso Dzeko a 0 dalla Roma, ma ci mancava il secondo attaccante per completare il reparto con Lautaro. Era il prescelto, ma si infortunò: avevo già parlato con lui e il papà, la negoziazione andava avanti spedita anche grazie a Mino Raiola, che approfitto per ricordare. Avevamo quasi definito tutto, ma la domenica precedente l'incontro definitivo si fece male al ginocchio e dovemmo cambiare obiettivo. Quegli incontri furono la base. Fui il primo a dire a Lilian che suo figlio poteva diventare attaccante centrale, me lo ha ricordato l'altro giorno. Il nostro progetto era finalizzato e mirato su di lui, il vantaggio ce lo siamo presi".
Onana con Sommer?
"Portieri diversi, ma avevamo bisogno di certezze perchè avevamo perso anche Handanovic. Avevamo già deciso di cambiare dopo tanti anni, ma c'è un progetto su Samir e resterà a darci una mano con un progetto nei prossimi due anni. Volevamo a quel punto qualcosa di certo e che fosse pronto da subito: si poteva puntare su portieri più giovani, ma Sommer era ciò di cui avevamo bisogno. Si era già preoccupato di imparare l'italiano durante la trattativa, è un professionista pazzesco".
Più stabile Ausilio-Marotta o Thuram-Lautaro?
"Spero possano durare entrambe ancora per un po'".
Come è cambiato il mercato in questi anni?
"Tantissimo, come la posizione delle italiane rispetto alle altre. Le italiane possono fare investimenti, ma sempre con una certa attenzione e senza fare follie. In giro per il mondo ci sono club che hanno più risorse e questa differenza la senti, ma noi siamo bravi perché riusciamo sempre a trovare situazioni più economiche o ad anticipare il mercato, anche recuperando da club più forti giocatori che non si sono affermati al 100%, recuperandoli e portandoli a livelli consoni alle loro qualità. In Inghilterra si trovano situazioni interessanti".
Gli agenti stanno esagerando?
"Parlerei sempre a livello soggettivo, senza generalizzare. Ci sono agenti che sono anche di aiuto alle società e alcuni solo interessati al proprio portafoglio, perdendo di vista interessi un po' più completi. Lavoro con tanti, ne ho conosciuti tantissimi: alcuni li considero meno e tanti di più. Questo lo puoi fare con l'esperienza".
Non essere mediatico è una scelta ponderata?
"Mi piace essere così, non è una scelta. Ci sono dei ruoli e secondo me la comunicazione dell'Inter non può essere quella del direttore sportivo fatta con quotidianità, altrimenti parlerei sempre delle stesse cose che non voglio portar fuori. E' intelligente che sia l'amministratore delegato del club a occuparsi di questo, visto che può parlare a 360%".
Account fake ancora attivo?
"Sì, anche se è stata estrapolata una frase che era un po' ironica. Non controllo assolutamente le mogli, era una battuta fatta in un contesto particolare. E' nato in un momento di eccessiva esposizione mediatica, l'account c'è e seguo società di calcio, agenti e un po' di tutto".
Sogni ancora?
"Sì, anche se non li ricordo tutti. Il prossimo? Una cosa non molto distante, ovviamente sportivo, ma chiede lavoro, forza e continuità. Mi piacerebbe arrivare alla seconda stella che è lì, lottano anche gli altri. Importante lottare fino alla fine, se qualcuno sarà più bravo gli stringeremo la mano".
A Istanbul non sembravate tanto lontani.
"Lo sembravamo più prima di giocarla. Durante la partita siamo sembrati molto forti e competitivi, ce la siamo giocata alla pari con la squadra più forte del mondo. Siamo ambiziosi, pur consapevoli che ci sono squadre più attrezzate di noi. Vogliamo vendere cara la pelle a tutti. So dove siamo partiti: all'inizio del percorso di Suning eravamo forse dietro al cinquantesimo posto nel ranking, ora siamo tra il settimo e l'ottavo. Forse questo ci darà possibilità di partecipare al Mondiale per club e manca poco, ora pensiamo a centrare la qualificazione agli ottavi".
Che persona è Inzaghi?
"Semplicità, umile, geniale e pigro. E' uno dei più simpatici conosciuti nel mondo del calcio, ma ha una sua routine, esigenze che non sposti neanche con le cannonate. E' geniale, ha talento ed è ancora giovane. Ha buon gusto per il calcio giocato di qualità e fa star bene tutti. Ha creato un bel gruppo e si vede, i risultati non sono solo frutto della prestazione, ma anche di star bene insieme e di voler condividere tempo e spazi".
Quanto è stato vicino l'esonero?
"Mai. Sono strasincero, non è nella cultura di Zhang e Marotta. Marotta credo non abbia mai esonerato un allenatore in 40 anni di calcio, men che meno io. Era un momento di difficoltà, ma sapevamo che serviva la forza dell'unità e anche che fossero spronati, pungolati, con la giusta attenzione alle cose che non andavano. Siamo stati tutti bravi a venirne fuori e a iniziare il cammino pazzesco degli ultimi due mesi che ci ha portato alla qualificazione in Champions, alla finale di Coppa Italia e a Istanbul. Esonero mai preso in considerazione, non è nella cultura dei dirigenti dell'Inter".
Che presidente è Zhang?
"C'è un'idea sbagliata di Steven Zhang come presidente. Dal punto di vista tecnico magari non è uno di quei presidente che può esprimere un giudizio sulle qualità di un giocatore e questa è una grandissima cosa, perché dirigenti e allenatore possono fare il loro mestiere. Ha tantissima passione, è sempre molto vicino, vede tutte le partite a qualsiasi ora e ci dà tranquillità e serenità. Laddove sono stati commessi degli errori, non ha mai esasperato la situazione. La mancata vendita di Skriniar ad esempio, con un altro presidente, avrebbe creato comportamenti e atteggiamenti diversi. Lui guarda subito oltre, la sua preoccupazione era: ok, chi mettiamo al posto di Skriniar? E' un imprenditore, ha una visione molto ampia. Ti lascia fare il tuo, ti fa sentire tranquillo e sicuro".
Quanto è cambiata Milano in questi anni?
"Ho sempre abitato in provincia, ma Milano è cambiata tantissimo. E' una vera metropoli, in continua evoluzione e viva. Di grande attrazione anche per molti lavoratori stranieri: lo vedo anche con i calciatori, piace a loro e alle mogli e ce la giochiamo. Ti fa vivere bene la tua professione, non ti dà grandi pressioni. Avrebbe bisogno di un po' più di sicurezza per permettere a tutti di esprimere le proprie voglie e desideri".
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