Edin Dzeko si racconta. L'attaccante bosniaco, protagonista di un super inizio di stagione con 7 gol e 3 assist all'attivo tra campionato e Champions League con la maglia dell'Inter, ha parlato così nell'intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport verso il derby d'Italia contro la Juventus di domenica. Ecco le dichiarazioni del centravanti nerazzurro: "Io in campo non sono Dzeko. Io sono Edin, sono il bambino che ha cominciato a giocare perché non poteva fare a a meno di correre sotto casa dietro a un pallone. Ecco, per me è ancora questo il calcio: impazzisco quando vedo una palla. Scusatemi davvero per il ritardo, ma a Milano non avevo mai trovato tanto traffico. Sapevo di arrivare in un grande club, avevo in testa l’obiettivo di farmi apprezzare da subito. Volevo solo quello, poi il resto l’hanno fatto i campioni che ho trovato qui".
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Dzeko: “Inter, mi ha chiamato Kolarov. Lukaku da ringraziare, io guardo avanti”
Edin Dzeko dice tutto alla Gazzetta: la verità sulla trattativa con l'Inter, ma anche il rapporto con Milano e il paragone con Lukaku
Con lo Sheriff, in ordine cronologico: gol, ripiegamento decisivo in difesa, assist a Vidal. Ora li metta in fila lei, questi tre gesti.
"Il gol è la gioia estrema, quello che la gente si aspetta sempre da me. Ma proprio perché sono un attaccante, a quella corsa in difesa è stato dato risalto: è giusto così, se poi non vinci il gol segnato serve a poco".
L’Inter è una macchina da gol, produzione continua di occasioni. È la squadra più offensiva in cui abbia mai giocato?
"Sì, insieme al City con Mancini. Attacchiamo con tanti uomini, siamo molto propositivi, si è visto anche in Champions. Ed è per questo che incassiamo più gol di quanti dovremmo: qui dobbiamo crescere".
In fretta, pure: domenica c’è la Juventus, maestra nelle ripartenze.
"È il derby d’Italia, sono in palio punti che pesano. Non c’è tanto da inventare: dobbiamo neutralizzare quello che loro fanno bene, ovvero i contropiede".
Chi perde rischia un distacco dalla vetta tra i 10 e i 13 punti: è già una partita decisiva?
"Il campionato non si vince a ottobre o a novembre, Inter e Juve lo sanno bene. Ma se perdi altri punti adesso, comincia a essere sempre più difficile recuperare".
Lei contro Chiellini. È il difensore più forte che ha incontrato?
"In quella posizione è uno dei migliori degli ultimi dieci anni, per la Juve è determinante. Con lui è pesante, è tosta. Si attacca addosso sempre, anche troppo... Contro Chiellini ho segnato il mio primo gol in Italia, ma tante volte mi ha lasciato a secco. Ecco, per domenica posso farne a meno: vorrei vincere anche senza far gol".
Il -7 dal Napoli è un distacco che rispecchia il valore delle due squadre?
"Le hanno vinte tutte, bravi loro. Ma basta un niente, una scintilla per tornare lassù".
Racconti, invece, la chiamata dell’Inter.
"Sapete chi è stato a telefonarmi? Kolarov. È stato lui a dirmi che l’Inter era interessata, che c’era la possibilità di un trasferimento: “Qui ti vogliono, vieni”. Ed eccomi qua".
Come si convive con l’eterno parallelismo con Lukaku?
"Lui qui ha fatto cose importanti, l’Inter deve dirgli grazie, ha portato uno scudetto assieme a Conte. Poi ha fatto la sua scelta. E io onestamente sono abituato a guardare avanti".
Si parla tanto delle differenze tra di voi. Ma c’è una cosa che avete in comune?
"Sì, il numero di maglia...".
L’Inter domenica vincerà perché...: completi la frase.
"(ci pensa un po’) Vincerà se saprà dimostrare di essere campione d’Italia. Se tutti i giocatori daranno un contributo non per se stessi, ma per la squadra. Se penseremo a vincere in ogni modo possibile: con una strategia offensiva o difensiva, conta poco. Basta solo che si vinca".
È già a 6 gol in campionato, l’anno scorso alla fine arrivò a 7: che cosa è cambiato?
"Non ho dato la migliore versione di me stesso. Ma ci sono stati anche tanti fattori esterni che hanno influito".
È vero che le hanno chiesto di candidarsi per diventare presidente della Bosnia?
"No, e non ci penso nemmeno. In politica non mi vedo di certo... Intanto, voglio fare altri cinque anni di calcio, poi penserò al futuro. Magari saranno tutti quanti all’Inter, perché no?".
Lei e il rapporto con Milano.
"Non ho ancora trovato casa, momentaneamente sono vicino alla sede del club. Ibra è mio vicino? Non lo so. Incrocio spesso Ilicic, un caro amico. Milano è comunque più piccola di Roma, la quotidianità è più semplice: ti sposti facilmente in centro".
Lei, Giroud e Ibra: a Milano il centravanti è over 35. Un caso?
"No, non è un caso assolutamente. C’è chi a 35 anni ha già smesso: se siamo ancora qua, a questi livelli, vuol dire che siamo in forma e sappiamo ancora essere decisivi. Io non ho dato tutto e, per questo, sono qui a giocare: non sono ancora contento della mia carriera".
Le danno fastidio i continui riferimenti alla sua età?
"No, la carta d’identità non è tutto. Voi vedete solo il campo, ma lavoro tutti i giorni prima e dopo l’allenamento per restare in forma. E mentalmente, cerco di evitare argomenti che mi tolgono energie".
Un esempio?
"Beh, i discorsi sull’età (ride)".
A chi lo darebbe il Pallone d’Oro?
"Lo rivince Messi".
Perché lei è sempre stato fuori da quei discorsi? Perché è sempre stato percepito un gradino sotto i Lewandowski o i Benzema?
"Eh, forse mi è mancato andare a giocare con il Real Madrid... O forse giusto un po’ di continuità. Ho fatto tanti gol in carriera, ho segnato ovunque. E non è mica finita: quando smetterò, è perché avrò dato davvero tutto. Ma quel momento ancora non è arrivato".
(Fonte: La Gazzetta dello Sport)
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