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Inter-Juventus, più che avversari: una rivalità eterna. La storia del Derby d’Italia

Marco Astori

Se l’Inter, figlia prediletta della ric­ca borghesia milanese, negli anni Sessanta balla il twist e vi­ ve il momento della gloria as­soluta, in quello stesso periodo la Juventus si fa operaia: man­da giù bocconi amari, ma la cri­si sociale alle porte impone alla famiglia Agnelli di non investi­re troppo nel calcio. I tifosi, in gran parte, sono operai della Fiat, venuti dal sud a cercare fortuna. La politica aziendale è chiara: prima gli stipendi ai la­voratori, poi il divertimento. Tuttavia ciò non vieta di to­gliersi qualche sfizio, come ac­cade nel 1967. L’Inter si suicida a Mantova e la Juventus ne ap­profitta portandole via lo scu­detto da sotto il naso e chiu­dendo di fatto l’epoca d’oro di Helenio Herrera.

E’ in questa occasione che Brera definisce «derby d’Italia» la sfida tra In­ter e Juventus, considerando le due squadre come le più rap­presentative del nostro calcio. Poi vengono gli anni Settanta e gli anni Ottanta che per i neraz­zurri sono un lungo passaggio in Purgatorio, spesso costretti ad assistere ai trionfi juventini, magistralmente costruiti da un dirigente abile e competente come Boniperti. E’ lui, più di al­tri, più di Platini e di Zoff, più di Gentile e più di Bettega, a far diventare la Juventus quello che la Juventus dev’essere se condo il desiderio dell’Avvoca­to Agnelli: una squadra per la quale il risultato non è impor­tante, ma è tutto.

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