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Inter, Onana: “Handanovic? Vi racconto il primo incontro. Con Dzeko? Ecco cos’è successo”

Marco Astori

André Onana, portiere dell'Inter, ha concesso un'intervista ai microfoni di DAZN per il format "Culture". Queste le sue parole

André Onana, portiere dell'Inter, ha concesso un'intervista ai microfoni di DAZN per il format "Culture". Queste le sue parole.

Com'è la tua giornata tipo nel tuo paese natale?

—  

Quando vivevo lì ero molto piccolo, ci svegliavamo, facevamo colazione e andavamo a lavorare in città. Mi ricordo che vicino a casa mia passavano i treni, dovevamo attraversare i binari. E camminavamo 45 minuti per raggiungere i campi dove lavoravamo. Passavamo le giornate lavorando e stando insieme, poi tornavamo a casa. La corsa più incredibile è che non avevamo la luce, avevamo lanterne: le usavamo per farci strada nel buio. Non c'era una scuola, l'ho frequentata a Yaoundé perché i miei lavoravano in questa città e io e i miei fratelli li seguivamo.

I bambini giocavano a calcio?

—  

Sì, ma senza aspettative. Quello che vivo io è un sogno. Essere un giocatore dell'Inter è una cosa che non potevo nemmeno immaginare nella mia infanzia in Camerun. Non so se riesci a capirmi perché se io penso che vengo da un posto totalmente diverso, vengo da un villaggio senza luce e da una famiglia umile. Immagina cosa vuol dire per me se da piccolo mi avessero detto "tu giocherai all'Inter". Non potevo nemmeno sognarlo, era impossibile pensarci.

Quando hai pensato di fare il portiere?

—  

Sempre da bambino. Ho 4 fratelli: eravamo in 5, uno ci ha lasciato. Però quando mi fanno questa domanda io istintivamente dico che siamo 5, lo porto sempre con me. Io sono il più piccolo di 4 maschi, il maggiore ci ha lasciato. Mio fratello Christian, anche lui portiere, gioca in Indonesia: prima di giocare lì, quando eravamo in Camerun, lo accompagnavo alle partite, gli portavo la borsa. Vedevo come giocava e mi sono innamorato del ruolo.

Cosa saresti diventato altrimenti?

—  

Poliziotto. Mi piace tantissimo. Mi piacciono le responsabilità. Essere portiere mi piace molto ma è una posizione complicata: tu fai bene oggi e domani sbagli ed è finita. Devi essere molto forte mentalmente perché ogni errore è un gol.

La Eto'o Academy?

—  

Ero bambino, avevo 11 anni, tornavo da scuola e mia madre mi disse che aveva una cosa importante da dirmi. Era venuto l'allenatore dell'Academy per chiedermi di andare là a giocare vivendo lì. Vivevo a casa dell'allenatore. Sono rimasto lì per 4 anni circa: fu molto divertente quando il mister mi chiamò per dirmi che sarei andato al Barcellona. Io non sapevo nulla, chiamò mia madre dicendoglielo: non ho saputo niente per una settimana, intanto giocavo. Con l'Academy facevamo molti viaggi in Europa, in uno di questi dovevamo andare ad Irun. E l'allenatore mi disse: "Prendi tutti i vestiti per questo viaggio". Chiesi perché, lui mi rispose perché me lo diceva lui. Iniziai ad innervosirmi perché ero l'unico che doveva farlo. Così chiamai mia mamma per dirglielo, lei rideva di continuo: mio fratello sotto le disse di dirmi la verità. Allora mi disse di calmarmi perché aveva una notizia importante, che sarei andato al Barcellona. Cioè, me lo dici così. Lì iniziai a rendermi conto: lì feci un provino e andò bene e firmai a 14 anni.

Dove vivevi?

—  

Nella vecchia Masia. Giocavano con me Adama Traoré, Munir, Deulofeu, Thiago, Rafinha, un sacco di talenti.

Imparasti lì a giocare coi piedi?

—  

Sapevo già farlo, lì imparai l'impostazione dal basso, imparare a leggere le situazioni. Questo dipende anche dal modulo con cui giochi, non è la stessa cosa con il 4-3-3 o il 3-5-2. Per me è più facile a 4, sono abituato così, però tutti gli schemi vanno bene, se ci si intende si gioca bene a calcio.

Tu hai cambiato l'Inter in questo.

—  

Sono io che sono cambiato per l'Inter. Negli ultimi 20 anni la posizione del portiere è cambiato. Il mio modo di giocare e di vedere il calcio soprattutto in porta è diverso. Ora se c'è lo spazio va giocata la palla, bisogna sempre cercare lo spazio. Quando ti parlo del portiere, ti parlo di quello moderno: un giocatore forte coi piedi, nell'1vs1, che è coraggioso e trasmette sicurezza e che sia forte nelle palle alte. Se hai un portiere del genere, hai un punto di forza notevole, giochi in superiorità numerica col portiere.

La papera non è più un dramma.

—  

Per migliorarsi bisogna sbagliare. Se non sbagli, non impari: quando vinci non apprendi nulla, la vittoria copre tutto. Possiamo giocare male, però se vinciamo nessuno parla di errori. Essendo portiere devi imparare a convincerci, non ci penso, so che succederà: è un rischio calcolato. Fa parte della gavetta, devi essere forte mentalmente: se pensi a non sbagliare, sbagli. Di quelle di Courtois e Alisson non dobbiamo neanche parlarne, sono fortissimi e corrono rischi. Se non li corri, non rischi e non aiuti la squadra. Non correre rischi è buttare via la palla.

Ti piace il rumore di San Siro quando rischi?

—  

Non lo sento. In quel momento sono nel mio mondo. Ho avuto la fortuna di giocare in grandi stadi partite importanti. Ho nella testa la mia musica, mi isolo dalla realtà. Sono lì, vedo tanta gente, ma non ci penso, non voglio farmi schiacciare dalla partita. Faccio il mio lavoro e vado a casa.

Hai giocato una finale con paura di perdere.

—  

Sì, con tantissima paura. E dopo quella partita mi sono detto che non avrei mai giocato con questa paura addosso. Giocassimo contro Real e Barça insieme, non avrei paura. Anche se loro fossero 22, non devo avere paura di nessuno in campo. Ho perso una finale di Europa League per paura. Quella partita l'abbiamo persa prima di giocarla: dovevamo giocare con lo United, arrivammo a Stoccolma, chiamai Van Der Sar dicendogli che non avrei giocato perché non stavo bene. Ci svegliammo la mattina con 7 giocatori malati. Eravamo giovani, eravamo nel tunnel, vedo De Gea dietro di me: sei mesi prima ci giocavo alla PlayStation. Younes venne da me e mi disse di guardare il braccio enorme di Valencia e che non avrebbe potuto giocare contro di lui.

Cosa ti ha detto Handanovic quando vi siete incontrati?

—  

Ci siamo salutati tranquillamente e mi ha detto "benvenuto". Lo conoscevo, non so se lui conoscesse me. Mi sta aiutando molto. Ricordo il suo volto serio: siamo molto diversi, a me piace cantare, sono allegro. Lui è molto calmo.

Con Dzeko cos'è successo?

—  

Sono cose che succedono nel calcio. Se dobbiamo fare così per vincere, facciamolo sempre. Se devo gridare in quel modo a Dzeko per vincere, lo faccio. Sono io che ho la palla e decido cosa fare: tutti la vogliono, Lautaro, Calhanoglu, Brozo, tutti! Però sono io che decido e devi rispettarlo. Posso sbagliare, ma devi accettarlo. Alla fine quello che ha detto a me è piaciuto: lui vuole palla, la prossima la gioco a lui.

Come impatta la tua personalità sulla squadra?

—  

Io devo aiutare la squadra e se aiutarla significa discutere con Dzeko o Lautaro, ho la personalità per farlo. Dalla mia posizione vedo tutto il campo. Skriniar o Acerbi mi dicono "sinistra", perché se sono concentrato sul cross, non vedo da altre parti. Loro in quel momento vedono il campo meglio di me e devo fidarmi.

La tua parata contro il Porto?

—  

La cosa importante è parare, non importa sia bella. Il pallone rimbalza e non la blocco, la respingo e so che ci sarà Barella: lo faccio perché ho fiducia nei miei compagni nella ribattuta. E' una cosa che mi piace molto.

Il tuo ritorno in Camerun dopo il Mondiale?

—  

Io sono nato e cresciuto lì, probabilmente morirò lì. E' il mio paese, lo amo. Per il bene del paese a volte bisogna farsi da parte. Giocavo a calcetto, stavo coi miei amici e la mia famiglia tranquillo. Alla fine è importante stare con loro e con persone che ti conoscono, è gente che sa come sono da sempre. Adoro quei momenti.

Neuer?

—  

Per me è il miglior portiere della storia, ha rivoluzionato la posizione: grazie a lui siamo portieri che giochiamo nel calcio moderno. Nel Mondiale 2014 ha fatto qualcosa di incredibile e mai visto. Neuer ha fatto sì che pensassi diversamente.

Buffon?

—  

Essendo portiere mi è difficile parlare di lui, è uno dei più grandi. Ho giocato con lui in Coppa Italia: gli ho chiesto la maglietta e mi ha dato pure i suoi guanti. Ero felice come un bambino.

Maignan?

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Nel 2017 ero l'unico portiere nero che stava giocando ad alti livelli. Ora sono felice di vedere Mendy, Maignan e gli altri. Io lo conosco bene, abbiamo giocato mille volte contro. Siamo amici, non intimi: è un grandissimo portiere, mi piace giocare contro di lui. Abbiamo giocato contro 4 volte. Il migliore? Non lo so, ma nella mia testa so chi è il migliore.