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Klinsmann: “Io allenatore dell’Inter? Ora non mi ci vedo. Il Trap, Orrico e Pellegrini…”

Daniele Vitiello

Il tedesco ha parlato ai microfoni di Panorama.it

Juergen Klinsmann, ex attaccante dell'Inter, raggiunto al telefono dai colleghi di Panorama.it ha parlato del suo passato, del suo presente e di un possibile futuro sulla panchina del suo vecchio club: "L'Inter è la mia seconda famiglia. Il primo e più importante passo fatto nella mia vita, ma non mi vedo, per ora, sulla panchina dell'Inter. Se mi vedo in un futuro sulla panchina dell'Inter? No, per ora no, direi. Mia figlia di 15 anni frequenta la high school e non posso ora trasferirmi. Cerco di conciliare il lavoro e la famiglia, da vent'anni vivo negli Stati Uniti. Quando ero allenatore del Bayern Monaco feci 42 viaggi tra Germania e California. Quando ho lasciato la Germania, a 25 anni, per venire a Milano ho iniziato a conoscere il mondo. Sono stato accolto da un ambiente eccezionale, innanzitutto dal presidente Pellegrini, sempre attento al rapporto umano. Mi ha insegnato ad avere cura delle persone a cui si vuole bene. E poi Tito, una persona unica, intelligente e sensibile. E' incredibile quello che fa con la sua associazione a favore dei ragazzi disabili. Ha rappresentato un punto di riferimento, un esempio su quali priorità dare ad una vita che non si racchiude tutta solo dentro ad un pallone".

Sulla sua esperienza nerazzurra: "Fu molto importante il lavoro di Giovanni Trapattoni, un maestro della tattica. Ti correva accanto per tutto l'allenamento, guidandoti nei movimenti. Un approccio non facile per un tedesco, che è abituato all'azione, alla pratica più che alla teoria. All'inizio forse ci fu un po' di appagamento, dopo la stagione del primato dell'anno prima. Quando sei tra le prime squadre della Serie A o della Bundesliga o della Premier League, la differenza non la fai con i campioni, quelli li hanno tutti, ma con la giusta mentalità, con la determinazione, con la capacità di gestire lo stress. Con l'allenamento mentale. Orrico? Aveva delle buone idee, forse era in anticipo sugli anni, avrebbe meritato maggior fortuna, purtroppo ha pagato i mancati risultati. La sua gabbia era un metodo per allenare la tecnica, ma anche la velocità, l'aggressività, a saper ragionare sotto pressione con pochi tocchi in rapidità. Una metodologia che, rivisitata in alcune parti ho riproposta anche nella Nazionale USA, con partite a squadre ridotte, 3 contro 3 o 4 contro 4, o in un allenamento contro il muro simile allo squash. In generale nello sport, non solo nel calcio, quando si vince si tende troppo spesso al conservatorismo, ad adagiarsi allo status quo e a voler ripercorrere lo stesso schema che ti ha portato alla vittoria. invece occorre evolversi e provare sempre nuove strade".