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Lautaro Martinez è sicuramente uno dei protagonisti e dei volti dell'Inter di Conte. Dopo un anno di adattamento il Toro è esploso e sta dimostrando qualità e personalità. Intervistato da Repubblica ha parlato del suo passato, ma anche e soprattutto del presente e del suo futuro: «Non ho giocato mica sempre in attacco: da bambino ero difensore».
Quando ha capito che fare gol era la sua vita?
«L’ha capito il mio allenatore a Bahia Blanca, la mia città. Disse che ero troppo veloce per fare il centrale e mi spostò avanti. Avevo undici anni».
Cosa le resta del passato in difesa?
«In un certo senso, non ho mai smesso di ragionare da difensore. Mi viene naturale aggredire ogni pallone, quando giocano gli avversari. È sempre stato il mio modo di stare in campo».
Com’è nato il soprannome Toro?
«Al Racing, a 17 anni. Ero forte e bruto . Mi scontravo con tutto e tutti. Lo inventò Santiago Reyes, mio compagno di squadra e di pensione».
Santiago gioca ancora?
«No, come molti ragazzi a un certo punto ha smesso».
Lei invece ce l’ha fatta.
«Merito dei miei genitori. Mio padre ha giocato a calcio da giovane e ha trasmesso la sua passione a me e ai miei fratelli. Soldi non ce n’erano, ma un piatto in tavola e un pallone non ci sono mai mancati. Per un periodo dormivamo tutti in una stanza, noi tre figli, mamma e papà. Ma il fútbol era sacro, agli allenamenti andavamo in bicicletta, in bus, spesso a piedi».
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