E' Romelu Lukaku il protagonista della nuova puntata di Footsteps, format prodotto da Inter TV. Il centravanti nerazzurro ha ripercorso i primi passi della sua carriera, dalle giovanili dell'Anderlecht, fino ad oggi, parlando anche dei suoi idoli. Queste le sue parole.
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Lukaku: “Mi sono reso conto subito di quanto fosse grande l’Inter. Vi racconto il 3-0 al Milan”
Cos'è stato determinante nella tua carriera?
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La determinazione, la voglia di migliorare sempre, avere sempre nuovi obiettivi: se faccio qualcosa bene, vado avanti. E poi l'umiltà.
Raccontaci uno dei gol più belli all'Inter.
Il 3-0 al Milan. Perché Perisic ha fatto la nostra solita giocata dal terzino a noi attaccanti: ho detto a Barella di lasciarmela. Poi quando l'ho presa ho visto lo spazio per andare, ho iniziato a correre: prima volevo andare a destra con un doppio passo, ma c'era Lautaro e non potevo dargliela. Allora sono andato sul sinistro e ho visto solo un buco piccolo di porta, dovevo calciare il più forte possibile: ho pensato 'se prendo la porta, è gol'.
La leggenda che avresti voluto come compagno di stanza?
Adriano, è una bella persona: ogni volta che parlo con lui c'è emozione. Quando ero piccolo la gente mi diceva che aveva solo forza, potenza e il sinistro: lui ha cambiato il mondo per me, l'ho visto giocare a 10 anni, è cambiato tutto.
La leggenda che avresti voluto come compagno d'attacco?
Ronaldo il Fenomeno perché aveva entrambi i piedi: ho visto come giocava anche con Vieri.
La leggenda che avresti voluto sfidare?
Marco Materazzi, è alto, forte, aggressivo: quelli sono i difensori che mettono più in difficoltà e con quella si migliora. Le sfide con lui sarebbero state belle per la gente.
I tuoi primi allenatori?
Jean Kindermans, il capo del settore giovanile dell'Anderlecht, e Ariel Jacobs, l'allenatore che mi ha dato la prima opportunità. Tanta gente diceva loro che fossero matti per far giocare un ragazzino di 16 anni in prima squadra: ma a fine anno ho vinto il campionato belga ed ero capocannoniere. Loro avevano fiducia in me, mi hanno aiutato anche a scuola: ci fu un momento difficile per me il primo anno da professionista, non andavo molto bene perché non riuscivo a fare entrambe le cose. Ci fu una partita in cui un mio compagno si ruppe la gamba e l'allenatore mi chiamò in spogliatoio e mi disse che non si sa mai cosa può succedere nel calcio e che avrei dovuto finire la scuola e lo feci.
Le giovanili dell'Anderlecht.
—All'Anderlecht ci allenavamo tutti i giorni, ma il sabato era il giorno partita e tutta Bruxelles veniva a giocare e a vedere chi fossero i migliori giocatori. E se dicevi "io sono forte", tutti venivano a vederti: c'erano 500 persone a vedere le partite degli under 14. C'era gente lì dalle 10 di mattina a vedere se c'era qualche fenomeno.
A chi ti sei ispirato?
—Drogba, Anelka, Adriano e Ronaldo.
Tre città che fanno parte della tua storia?
—Bruxelles, Milano e dico anche Manchester perché quando ero all'Everton avevo casa lì e ho vissuto i momenti più belli in Premier. Milano perché è la prima città in cui sono arrivato e ho detto dall'inizio "wow". Mia madre e mio figlio si sono sentiti subito bene, mi sono reso conto subito quanto è grande l'Inter.
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