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Lukaku: “Mi sono reso conto subito di quanto fosse grande l’Inter. Vi racconto il 3-0 al Milan”

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Le parole del belga: "Per me sono stati importanti la determinazione, la voglia di migliorare sempre, l'avere sempre nuovi obiettivi"
Marco Astori Redattore 

E' Romelu Lukaku il protagonista della nuova puntata di Footsteps, format prodotto da Inter TV. Il centravanti nerazzurro ha ripercorso i primi passi della sua carriera, dalle giovanili dell'Anderlecht, fino ad oggi, parlando anche dei suoi idoli. Queste le sue parole.

Cos'è stato determinante nella tua carriera?

La determinazione, la voglia di migliorare sempre, avere sempre nuovi obiettivi: se faccio qualcosa bene, vado avanti. E poi l'umiltà.

Raccontaci uno dei gol più belli all'Inter.

Il 3-0 al Milan. Perché Perisic ha fatto la nostra solita giocata dal terzino a noi attaccanti: ho detto a Barella di lasciarmela. Poi quando l'ho presa ho visto lo spazio per andare, ho iniziato a correre: prima volevo andare a destra con un doppio passo, ma c'era Lautaro e non potevo dargliela. Allora sono andato sul sinistro e ho visto solo un buco piccolo di porta, dovevo calciare il più forte possibile: ho pensato 'se prendo la porta, è gol'.

Lukaku: “Mi sono reso conto subito di quanto fosse grande l’Inter. Vi racconto il 3-0 al Milan”- immagine 2

La leggenda che avresti voluto come compagno di stanza?

Adriano, è una bella persona: ogni volta che parlo con lui c'è emozione. Quando ero piccolo la gente mi diceva che aveva solo forza, potenza e il sinistro: lui ha cambiato il mondo per me, l'ho visto giocare a 10 anni, è cambiato tutto.

La leggenda che avresti voluto come compagno d'attacco?

Ronaldo il Fenomeno perché aveva entrambi i piedi: ho visto come giocava anche con Vieri.

La leggenda che avresti voluto sfidare?

Marco Materazzi, è alto, forte, aggressivo: quelli sono i difensori che mettono più in difficoltà e con quella si migliora. Le sfide con lui sarebbero state belle per la gente.

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I tuoi primi allenatori?

Jean Kindermans, il capo del settore giovanile dell'Anderlecht, e Ariel Jacobs, l'allenatore che mi ha dato la prima opportunità. Tanta gente diceva loro che fossero matti per far giocare un ragazzino di 16 anni in prima squadra: ma a fine anno ho vinto il campionato belga ed ero capocannoniere. Loro avevano fiducia in me, mi hanno aiutato anche a scuola: ci fu un momento difficile per me il primo anno da professionista, non andavo molto bene perché non riuscivo a fare entrambe le cose. Ci fu una partita in cui un mio compagno si ruppe la gamba e l'allenatore mi chiamò in spogliatoio e mi disse che non si sa mai cosa può succedere nel calcio e che avrei dovuto finire la scuola e lo feci.

Le giovanili dell'Anderlecht.

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All'Anderlecht ci allenavamo tutti i giorni, ma il sabato era il giorno partita e tutta Bruxelles veniva a giocare e a vedere chi fossero i migliori giocatori. E se dicevi "io sono forte", tutti venivano a vederti: c'erano 500 persone a vedere le partite degli under 14. C'era gente lì dalle 10 di mattina a vedere se c'era qualche fenomeno.

A chi ti sei ispirato?

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Drogba, Anelka, Adriano e Ronaldo.

Tre città che fanno parte della tua storia?

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Bruxelles, Milano e dico anche Manchester perché quando ero all'Everton avevo casa lì e ho vissuto i momenti più belli in Premier. Milano perché è la prima città in cui sono arrivato e ho detto dall'inizio "wow". Mia madre e mio figlio si sono sentiti subito bene, mi sono reso conto subito quanto è grande l'Inter.

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