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A proposito di sue ex squadre, Marcus Thuram viene dal Borussia Mönchengladbach, ma è diventato tutt’altro giocatore a Milano...
—«Anche lui ha trovato il club ideale per esplodere. L’intelligenza la vedi nella capacità di adattarsi e “sfruttare” la qualità dei compagni, molto più alta di quelli che aveva prima. Sa che il suo lavoro spesso è finalizzato a mettere in porta Lautaro, ormai davvero uno dei migliori attaccanti al mondo».
Domani all’Olimpico proprio Lautaro incontra l’ex amico Lukaku: quanto è servito all’argentino “staccarsi” dal belga?
—«Adesso gioca con un centravanti diverso, che gli permette di cercare il gol in una nuova posizione. Poi ci sarà qualcosa di psicologico, legato alla maturazione individuale: tutto il mondo lo vede più sicuro, coinvolto da capitano nelle scelte dell’allenatore, simbolo della squadra. Ora è nel momento migliore della carriera: questo è il Lautaro più forte di sempre».
È tempo di Roma-Inter: le dice niente la sfida?
—«Ora è l’occasione per consolidare il vantaggio, ai miei tempi era una grande finale Uefa. Ricordo tutto di quella edizione 1990-91, il percorso e poi la doppia partita per il trofeo con tanti tedeschi: io, Klinsmann, Brehme all’Inter, Voeller e Bertold alla Roma. Ho segnato su rigore all’andata e poi al ritorno, negli ultimi minuti, soffrimmo maledettamente».
Oltre alle punte, c’è qualche altro che l’ha stupita nella orchestra dell’Inter?
—«Di Barella ho parlato spesso, è il motore. Ma Calhanoglu e Mkhitaryan mi hanno sorpreso: da ragazzi erano da noi, in Germania, ma ora che sono molto più in là con gli anni, soprattutto Micki, hanno un rendimento stupefacente. Mantengono lo stesso livello alto partita dopo partita».
Concorda anche lei quando si dice che Inzaghi a centrocampo abbia il meglio del pianeta?
—«Sì, per come lavorano uno per l’altro, ognuno sa come stare in campo in ogni momento. Si vede che sono bene allenati, in un sistema preciso in cui anche i più giovani riescono subito a inserirsi: uno dei “plus” è proprio l’allenatore che ha dato un’anima. Ci sono 22 fratelli, non solo 11, dietro di lui: nessuno si arrabbia perché non gioca, ognuno è focalizzato sulla vittoria dello scudetto. Ripeto, il tecnico interista sta mostrando la stessa capacità di coinvolgere tutti che ha Xabi Alonso a Leverkusen».
Per chiudere, Beppe Bergomi, intervistato per i 60 anni, ha detto che il suo compagno più forte non è stato Ronaldo, ma lei. Ha ragione?
—«Un grande complimento di un grande uomo e campione. Avere un capitano come lo Zio ci dava tranquillità, lui si è preso cura di me dal primo momento in cui sono arrivato. Entrava in camera e mi parlava un po’ in italiano, un po’ in inglese e un po’ pure in tedesco: l’importante era capirsi. Ho giocato 21 anni, ma all’Inter ho passato il tempo più bello».
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