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Cosa pensa quando sente dire che il vostro centrocampo è tra i migliori d’Europa?
«Penso che è vero, abbiamo un centrocampo forte e vario. Tutti parlano di me, Calha e Barella, ma il segreto è che, se gioca qualcun altro, sia Frattesi, Klaassen, Asllani o Sensi, sa cosa fare».
Cosa invidia ai colleghi Calha e Barella?
«Non ruberei niente perché il bello è la nostra diversità. Siamo ancora più forti insieme, ci completiamo come un puzzle. Ma siamo un puzzle proprio come squadra, tutti siamo utili».
Ma con voi tre la vita per Frattesi si fa dura.
«Davide è fortissimo. Mi spiace che per ora giochi meno, ma lui sa bene che conta solo l’obiettivo comune. Ha il tempo e il talento dalla parte sua: sarà una colonna dell’Inter del futuro».
Una volta Calha ha detto alla Gazzetta che il campionato italiano è sottovalutato. Concorda?
«Ha ragione, non capisco perché succeda. Già dalla prima partita giocata in Italia, Roma-Sassuolo, mi ha colpito la qualità. E anche i calciatori sono sottovalutati ingiustamente: qua c’è gente forte, dobbiamo essere fieri del movimento».
Si è mai sentito sottovalutato anche lei?
«Sì... Visto che sono arrivato all’Inter a 33 anni, forse si pensava a me come a uno destinato solo a fare numero e a non essere incisivo. Però, dal primo giorno, ho fatto capire che non volevo perdere tempo e dare un contributo per la vittoria».
E così si è strameritato il rinnovo: che significa questa firma appena messa fino al 2026?
«Significa che questa è casa e sono felice di abitarci. Parlo di tutto un mondo, non solo i compagni e la società, ma i tifosi e i lavoratori del club: è quel famoso puzzle nerazzurro di cui parlavo... Resterò fino a 37 anni, farò di tutto per avere questa freschezza. Sono stato in grandi club europei e posso dire che l’Inter sta a quel livello lì, nell’élite».
Ha saltato solo 9 gare. E nelle 73 giocate sa quale è stata quella con meno minuti in campo?
«La finale di Champions... Non l’ho più rivista e non intendo farlo: mi farebbe solo male. Purtroppo mi sono infortunato tre settimane prima. Quella finale era l’esame dopo mesi di lezione: lo abbiamo fallito, ma nessuno ha tenuto la testa basse. Lì è scattata la voglia di riprovarci: possiamo tornare a giocare una finale e a vincerla. Da quella partita stiamo costruendo ciò che siamo adesso».
Tra voi e una nuova cavalcata c’è ora l’Atletico?
«Volevamo evitarlo, ma anche loro volevano evitare noi, poco ma sicuro. Sarà una sfida bella e difficile: me la immagino molto tattica».
Da Lucescu a Klopp, Mou e tanti altri ancora, ha avuto diversi maestri: chi le ha lasciato di più?
«Tutto è iniziato con Lucescu, poi Mou è stato il più duro, ma era un vero vincente: non vedeva altro che la vittoria. Klopp a Dortmund era uno psicologo. Prima di una rifinitura scommettemmo 50 euro: dovevo segnare 7 volte su 10. Persi e pagai. Il giorno dopo, però, doppietta a Francoforte: «Ora restituiscimi i miei 50...», dissi scherzando. Da quel momento, basta scommesse tra di noi!».
E con Inzaghi che rapporto ha?
«Adesso sono più grande e questo cambia la percezione. Ho iniziato a lavorare con Inzaghi a 33 anni e si è creato un rapporto quasi da amico, anche se conosco la differenza dei ruoli. Ma posso dire che è formidabile e si vede dal suo gioco».
Tutti dicono: “Non mi aspettavo un Thuram così forte...”. Lo pensava anche lei»?
«Sono felicissimo che Marcus abbia fatto ricredere tutti, non me. Era evidente quanto fosse completo, è ciò che ci serviva. Ho giocato con grandi punte, da Aubameyang a Ibra e Lewandovski: Marcus con la sua tecnica ha la stessa pasta».
Che capitano è, invece, Lautaro?
«Lasciamo stare la fascia che ha quest’anno: era “capitano” già l’anno scorso, nel senso di leader e trascinatore. Ognuno di noi dovrebbe essere come lui, un punto di riferimento in ogni partita, perché non potrà deciderle tutte Lautaro».
Circola una foto di lei bimbo con l’interista Djorkaeff, di origine armena: era il suo idolo?
«Ammiravo Youri anche perché a casa avevo una videocassetta della A 1996-97 che guardavo e riguardavo: lì c’era la sua storica rovesciata con la Roma... Non posso dire che fosse proprio lui il mio idolo, magari più Zidane, Baggio e mio padre, anche lui calciatore. Quella volta, però, ho fatto una foto anche con Lilian Thuram: ce l’ho in Armenia, voglio ritrovarla e poi mostrarla a Marcus».
Per il resto, come va con gli amati scacchi?
«Rilassano e fanno pensare. Mi aiutano anche ad essere un calciatore migliore, allenano il pensiero veloce e l’andare sempre in avanti. In generale, preferisco usare meno Instagram e pensare di più. Magari leggere un buon libro: sto finendo l’autobiografia di Beckham e poi inizierò quella di Elon Musk. Rispetto a ieri, negli spogliatoi di oggi c’è meno dialogo proprio per colpa del telefono».
Si è trovato meglio in Italia che altrove?
«Sì, perché l’Italia ha una storia incredibile e ottimo cibo, proprio come l’Armenia. E siamo popoli simili, ci piace scherzare, parlare e, quando serve, anche fare i furbi... Io consiglio a tutti di visitare il mio Paese, troveranno tesori che non si aspettano. E il barbecue armeno vale la pena....».
Sa che è diventata virale la sua somiglianza con un comico di successo di nome Pippo Franco?
«Lo so bene, me lo ripetono ancora adesso. Non lo conoscevo e sono andato a cercarlo su YouTube. La cosa non mi dispiace, anzi spero sia tornato ad essere famoso anche per questo...».
Micki, ma lei che pezzo della scacchiera è?
«Non prendetemi per un arrogante, ma... una regina: vado da tutte le parti!».
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