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Ha sentito qualcuno in società?
—«La cosa peggiore, in questi casi, è ricevere le telefonate di consolazione. Io ho sentito solo i miei figli».
Cosa non ha funzionato?
—«Mi ripeto: se uno vuole prendere ad esempio una bella partita, di certo non sceglie quella. È stata una gara che poteva essere decisa solo dagli episodi. Tutte due le squadre erano molto trattenute.
Anche il City ha dimostrato di patire l'appuntamento».
Se il gap sul campo è stato relativo, quello finanziario resta. Al calcio vinci se hai più soldi?
—«Non ho visto tante differenze sul campo, soprattutto se si pensa alle centinaia di milioni spesi dal Manchester. Da un punto di vista tattico, l’Inter si è espressa in modo da far giocare male il
City. Che poi ci ha messo del suo».
Pioli, al Milan, disse che oggi è difficile essere competitivi su due fronti. Per le italiane lo è di più?
—«Credo che l’Inter abbia invece dimostrato che ci si potesse riuscire. Il periodo brutto è stato vissuto a metà dell’anno, ma non era dovuto al doppio impegno. Semmai a un momento di scarsa
condizione e poca fiducia».
Uscire da quel momento è stato merito di Inzaghi?
—«Guardiola ha cercato di dirlo in modo elegante: l’Inter è la seconda squadra più forte d’Europa e il merito grandissimo va alla società, ai giocatori e all’allenatore. Che ha saputo tenere duro nel
periodo in cui veniva criticato duramente. Anche da me».
Quindi si è ricreduto su Inzaghi?
—«Certamente».
Lei è innamorato di Inter, ma non le darà di certo fastidio continuare a essere l’ultimo presidente che ha vinto la Champions...
—«L’orgoglio di pensare che la mia famiglia sia stata l’ultima a centrare il successo c’è. Ma è una sensazione che può essere esaltata se si continua a vincere, altrimenti tutto si dimentica».
Avesse vinto l’Inter, Lautaro sarebbe stato da Pallone d’oro, lui che ha vinto anche il Mondiale?
—«Non lo so, non l’hanno dato a Milito... Lautaro è fortissimo, ma può esprimersi a livelli ancora superiori».
Al di là degli episodi sfortunati di Istanbul, Lukaku lo terrebbe?
—«Tutta questa critica non gliela farei: certo, gli è andato male il colpo di testa e questo può essere stato il suo peccato mortale. Ma quando sono entrati lui e Mkhitaryan - che per me è fortissimo - la squadra ha cambiato ritmo ed è stata più pericolosa. Per il futuro, Lukaku è sempre utile averlo. Ma non conosco i conti a livello economico».
A proposito di attaccanti, colpito dall’addio al calcio di Ibra?
—«Mi ha fatto un forte effetto: è un ragazzo con una grande personalità, un ragazzo simpatico».
Che idea si è fatto dell’addio del Milan a Maldini?
—«Mi dispiace tantissimo, gli sono amico. So che è stato molto bravo».
Intanto, il calcio italiano ha fatto il suo Triplete al contrario: tre finali con Roma, Fiorentina e Inter. E tre sconfitte...
—«Solo un caso, l’aver perso tutte e tre le partite. Una ai rigori, una all’ultimo minuto, l’altra nel modo che ci siamo detti. Essere arrivati con tre squadre in finale è molto dignitoso. Il calcio italiano ha combattuto bene».
Andando oltre la finale di Istanbul, c’è qualcuno che starebbe bene nella squadra del Triplete?
—«Se dovessi indicare chi portare nella mia Inter, sceglierei Barella. Gli attaccanti sono bravi, ma credo che Eto’o e Milito fossero insuperabili».
Li ha rivisti, là in tribuna allo Stadio Olimpico Ataturk, i suoi ex giocatori?
—«Che bella immagine. Si è capito una volta di più il valore di quella squadra, che aveva qualcosa di grande da esprimere».
Siete tuttora in contatto?
—«Sì, li sento. Ogni tanto vengono a trovarmi, sono legati a me».
Tempo fa disse che della sua Inter oggi resta l’anima dei tifosi: li ha visti i 45mila davanti al maxischermo di San Siro?
—«Giù il cappello che per chi sa farsi vincere dalla propria passione».
Sarà più facile ripartire da qui, rispetto al 5 maggio?
—«Oggi resta la convinzione di aver fatto qualcosa di eccezionale, perché arrivare in finale di Coppa Campioni non capita spesso nella vita. Resta il merito e la fiducia a esso collegata. La squadra può ripartire, con più costanza, ma senza dover dimostrare niente e senza avere alcun complesso».
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