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Serata particolare, quella dei tifosi nerazzurri. Questa sera saranno uno contro l’altro due uomini che hanno scritto uno dei periodi più belli della storia nerazzurra: Mancini e Mourinho
Chi meglio di Lele Oriali, altro grande ex, può raccontare i due personaggi. In un’intervista alla Gazzetta dello Sport, l’ex numero 4 nerazzurro ha parlato di loro due, ma non solo: “Partiamo dall’inizio? Beh Mancini. Di Mancio mi colpì subito la competenza. Fu lui a suggerire l’acquisto di gente come Maicon, Cambiasso, Julio Cesar, Stankovic. Garantiva che quei giocatori che costavano cifre normali avrebbero lasciato il segno nella storia dell’Inter. Roberto è un allenatore-presidente. Mette un mattoncino al giorno. Lo sta facendo anche nel Galatasaray dove ha appena fatto ingaggiare un talento come il brasiliano Alex Telles. Ha ragione a dire che il Triplete di Mourinho è figlio anche del suo lavoro.
Moratti lo stava cacciando dopo Cagliari? E lui lo convinse a confermarlo garantendogli che avrebbe vinto lo scudetto. Non parlava per difendere la panchina o lo stipendio. Ne era convinto. Una sicurezza che contagia i suoi interlocutori. Cosa mi ha colpito di lui? La ricerca della qualità. Mancio costruisce squadre nelle quali si divertirebbe a giocare. Un episodio singolo? Ultima partita di campionato, Parma-Inter. La lotta per il titolo era ancora aperta. Mancio lavorò una settimana per recuperare Ibrahimovic, reduce da un infortunio. Gli parlava. Lo incoraggiava. Ricordo che quando, a partita in corso, decise di mandarlo in campo Ibra lo guardò fisso negli occhi e gli disse: “Okay mister, mi hai convinto, ora entro e segno un paio di gol”. E’ come se Mancini avesse servito due assist a Zlatan. A proposito di grandi giocatori: Roberto è quello che ha gestito meglio Balotelli.
Mourinho? Sembra un uomo di ghiaccio, invece l’ho visto piangere dopo la vittoria in Champions. Noi stavamo partendo per tornare a Milano, lui aveva un appuntamento con il Real Madrid e, davanti al pullman, non riuscì a trattenere le lacrime. Mourinho ha le sue debolezze, ma preferisce nasconderle. Il suo punto di forza? Lui crea il fortino. Chi è dentro è coinvolto al 110%. Nella finale contro il Bayern ero sicuro che avremmo vinto perché loro in campo erano in undici, noi in trenta. Insieme a Sneijder, Zanetti e compagni c’erano anche le riserve, i componenti dello staff tecnico, i medici, i massaggiatori. Parla bene dell’Inter? Lui è un romantico. Voleva tornare al Chelsea ed è tornato. Un giorno lo rivedremo sulla panchina dell’Inter».
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