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L'attacco
—La superiorità difensiva dell’Inter complicherà però la vita a Dzeko (o Lukaku) e Lautaro, costretti a fronteggiare una doppia linea: Stones e Rodri primo ostacolo, Walker-Dias-Akanji ultima barriera. Due contro cinque. Lautaro è indiscutibile, con il suo movimentismo, il pressing e la “garra” può far male. Inzaghi dovrà bilanciare pro e contro dell’attaccante alto e grosso: contro il City teoricamente Lukaku si fa preferire, perché c’è da cercare profondità “fisica” e immediata, e ci sarà meno tempo per una punta-trequartista. Al contrario, però, partire con Dzeko consentirebbe un possesso sulla trequarti, e più idee, per poi schierare il belga contro una difesa più stanca per farle male. Ma potrebbe essere troppo tardi.
Tranquillità
—Oltre a una telefonata al collega Thomas Frank del Brentford, unico a battere il City due volte (su due) in stagione, quello che Inzaghi dovrà trasmettere ai suoi è il senso di leggerezza. L’Inter ha già vinto la sua Champions: è in finale contro tutto. Perderà? Sarà dura, ma niente di paragonabile a un ko per il City e Guardiola, fermo alla Champions del 2011 con il Barça, a secco col Bayern, sconfitto dal Chelsea nel 2021. Una finale non è mai soltanto tattica: Inzaghi deve ricordare ai suoi che c’è meno da perdere. Infine, da non sottovalutare, lontano dall’Etihad il City è diverso: in Champions ha vinto solo una volta (la prima a Siviglia), poi cinque pari. L’Ataturk sarà presumibilmente più italiano e non solo per Calha. Un po’ di captatio benevolentiae, diciamo pure un po’ ruffianeria verso le tribune, può essere utile come una diagonale ben fatta".
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