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Rafinha: “Inter? Milano meravigliosa, ero convinto di restare. Zhang un riferimento. Spalletti…”

Daniele Vitiello

Le parole del brasiliano ai microfoni del Corriere dello Sport

Interessante intervista concessa da Rafinha, l'ex Inter che ha castigato i nerazzurri nel match con il Barcellona della settimana scorsa, ai microfoni del Corriere dello Sport. Il brasiliano è tornato a parlare della sua esperienza italiana, ma non solo:

Iniziamo dalla fine. Barça-Inter e segni proprio tu... 

«Dentro di me ho sentito una grande gioia per aver segnato un gol per la mia squadra, ma al contempo mi è venuto naturale non festeggiarlo per rispetto verso i miei vecchi compagni».

Dopo il gol ti sei scambiato la bottiglia d’acqua con Handanovic. 

«È stato spontaneo. Non ci fosse stata un’amicizia con Samir, non avrei mai potuto chiedergli di passarmi l’acqua».

Il destino ha voluto che Messi si infortunasse, aprendoti le porte alla titolarità. Come hai vissuto la vigilia della partita? 

«È stato tutto molto speciale e, al contempo, strano. Pochi mesi prima lottavo fianco a fianco con dei compagni fantastici e, ora, me li ritrovavo di fronte come avversari. È stato emozionante»

Hai pensato che, se la storia fosse stata diversa, avresti potuto giocare la stessa partita con l’altra maglia? 

«Se tutto fosse andato come pensavo sì, ma non è stato così e ora sono molto felice e motivato di essere qui».

In Italia è tornato d’attualità l’hastag #RiprendiRafinha che circolava su twitter la scorsa estate. Lo sapevi? 

«Ho ricevuto tanto affetto dai tifosi e li ringrazio tantissimo. Mi sono sentito appoggiato fin dall’inizio. Mi sono rimasti nel cuore»

Ma alla fine cos’è successo davvero? 

«Io ero convinto che sarei rimasto, ma non è stato così. Hanno preferito altri giocatori e non resta che andare avanti».

A Milano sei arrivato dopo un lungo stop per infortunio. 

«L’affetto e la riconoscenza che provo per l’Inter nasce proprio dal fatto che mi hanno accolto dopo nove mesi d’inattività».

Il giorno dell’arrivo quanti minuti avevi nelle gambe? 

«Non molti. Sono stati bravissimi nella gestione della mia convalescenza. Mi hanno lanciato poco a poco».

Viste le tue condizioni, pensavi a un progetto a lungo termine? 

«La mia urgenza era recuperare le migliori sensazioni il prima possibile. L’idea, comunque, era di un lungo progetto lì».

E quando ti sei reso conto che non sarebbe stato così? 

«Non c’è stato un momento preciso. Passavano le settimane e mi rendevo conto che stavano mettendo sotto contratto altri giocatori».

Ripeti spesso che Spalletti ti piace perché è una persona molto diretta. Hai parlato con lui del tuo mancato riscatto? 

«Quando dico che è diretto, mi riferisco al suo modo di allenare, di dirigere il gruppo. Di questo non ho parlato con lui».

Oltre a Spalletti, hai avuto modo di lavorare con altri allenatori di grande personalità, ad iniziare da Luis Enrique. 

«È uno dei migliori. È un allenatore molto completo, sia dal punto di vista tattico che motivazionale. Con lui ho imparato moltissimo».

Al Barça però debutti con Guardiola. Cosa ricordi della prima da titolare, in Champions, contro il Bate Borisov? 

«Un’emozione incredibile. Debuttavo al Camp Nou, a fianco di mio fratello Thiago. Abbiamo passato tutta la vita insieme, giocando a calcio per strada, con un pallone e due giacche buttate per terra come porta. Arrivare al top insieme... Memorabile!».

E di Valverde che mi dici? 

«Sa bene quello che fa e la sua gestione del gruppo è impeccabile.».

Ciascuno di questi allenatori ti ha utilizzato in un ruolo diverso. Ma tu cosa sei in realtà? 

«Io sono un centrocampista. All’Inter giocavo lì, anche se è vero che al Barça ho fatto spesso l’esterno d’attacco».

Il tuo primo vero allenatore, però, è stato papà Mazinho? 

«Sì, anche se è stato molto di più. Lo guardavamo, lo ammiravamo e lui giocava con noi e ci ha insegnato tantissimo».

È vero che da bambino volevi fare il portiere? 

«Io volevo stare in porta, ma mio padre ha insistito perché fossi un giocatore di campo ed è stato un buon consiglio».

L’Italia, per certi versi, sembra aver fatto sempre parte del tuo destino, con un padre che ha giocato a Lecce e Firenze. 

«È vero, anche se in quelle due città io non c’ero mai stato. E neppure a Milano. L’Italia è stata una bellissima sorpresa per me»

Tuo fratello Thiago è nato in Italia. 

«Sì, vicino a Brindisi. Io, invece, sono nato a San Paolo, nell’epoca in cui papà si era trasferito al Palmeiras. Mia sorella Thaisa è nata a Rio, la città in cui ho vissuto gran parte della mia infanzia. Siamo tutti sportivi. Mia sorella gioca ad alti livelli a basket, mamma giocava a pallavolo. Ho anche un altro fratellino di 9 anni molto promettente come calciatore».

È evidente che a casa tua si respirava sport. 

«Giocavamo a calcio in cucina, per la disperazione di mia mamma. Era un due contro uno, con le squadre che cambiavano di continuo: io e Thiago contro mio padre, poi mio padre e Thiago contro me, mio padre ed io contro mio fratello...».

Chi era il più forte? 

«Mio padre! (lunga risata). Io che ero il più piccolo, però, non mi rassegnavo mai a perdere. Potevo recriminare per ore».

 Il principale insegnamento che ti hanno lasciato i tuoi genitori? 

«L’umiltà. Hanno sempre insistito tanto sul fatto che dovessimo trattare tutti come vorremo essere trattati anche noi».

 

E tu che consiglio daresti a un bambino che inizia a giocare? 

«Che sia felice mentre gioca. Prima di ogni partita mio padre continua a scrivermi lo stesso messaggio: divertiti!».

 

L’Italia nel destino, si diceva. Tu ti sei infortunato al ginocchio all’Olimpico di Roma. 

«Sì. E sono convinto che mi l’incidente mi abbia migliorato come calciatore e come professionista. Ho anche migliorato le mie doti di chitarrista nelle lunghe ore in cui non mi potevo alzare dal letto. Ho fatto mia la frase: nessun male viene senza portare un insegnamento».

 

Al momento dell’infortunio, Neymar è corso a consolarti. 

«Siamo grandi amici. Ci siamo conosciuti a Barcellona, perché io ho giocato con le Selezioni inferiori della Spagna, prima di optare per la Nazionale brasiliana. Abbiamo realizzato il sogno di vincere insieme l’Oro olimpico a Rio».

 

Tuo fratello, invece, ha deciso di giocare con la Spagna. 

«Sono state scelte difficili. Thiago è sempre stato convinto di giocare con la Spagna. Io avevo le idee meno chiare, ma alla fine ho scelto col cuore il Brasile, anche se mi rimane il rimpianto di non poter giocare in Nazionale con lui».

 

Tornando a Roma, l’infortunio nasce da un contrasto con Nainggolan... 

«Gli infortuni ci stanno nel calcio. Lui mirava il pallone, ma alla fine ha preso me. Gli auguro di vincere molto con l’Inter».

 

Quando vedi che l’Inter spende un’importante quantità di denaro proprio per lui, e di fatto non ci sono più risorse per prendere anche te, cosa hai pensato? 

«Non sono una persona portata a serbare rancore. Dopo l’infortunio mi aveva inviato anche un messaggio».

 

La Serie A torna di moda. Tornano i grandi campioni. Quest’anno è arrivato niente meno che Cristiano Ronaldo. 

«La Serie A ha fatto un salto di qualità. Mi avevano parlato di tatticismo esasperato, ma a me è piaciuto tutto».

 

Tu, invece, condividi lo spogliatoio con Messi. 

«Per me è il miglior giocatore della storia. Cristiano è un mostro, ma è diverso. Ha una facilità ad andare a segno unica. Ma Leo è magico. Non ho mai visto nessuno fare quello che fa lui».

 

Consiglieresti a tuo fratello la Serie A? 

«Senza ombra di dubbio! Sia per il calcio che per lo stile di vita».

 

Milano ti ha proprio conquistato. 

«È una città meravigliosa. Io vivevo nel quartiere CityLife. Mi sono trasferito insieme al mio migliore amico, al mio fisioterapista e al mio preparatore fisico. Abbiamo formato una piccola famiglia. Ci siamo innamorati tutti della città, specie dei Navigli».

A Milano hai ritrovato il vecchio amico Mauro Icardi. 

«Eravamo stati insieme nella cantera del Barça e, una volta in Italia, mi ha aiutato moltissimo ad ambientarmi».

Andavate a scuola insieme da ragazzi? 

«Sì, abbiamo la stessa età. Io ero un po’ più bravo sui libri, anche se nulla dell’altro mondo. In campo, invece, lui è sempre stato così. Gli dai la palla e, inevitabilmente, segna. È pazzesco».

Dovesse presentarsi l’opportunità di tornare all’Inter... 

«Non mi piace ragionare con i se. Io ho vissuto una grande esperienza lì e nel mio cuore ci sarà sempre uno spazio per l’Inter».

Ti ha sorpreso vedere alla presidenza dell’Inter un ragazzo praticamente della tua età? 

«All’inizio mi ha sorpreso conoscere Steven Zhang. Ma ci metti poco a capirne l’intelligenza, la saggezza e la serietà, tutte qualità con cui gestisce un club a cui si sente legatissimo. Per noi giocatori era un punto di riferimento fondamentale. Lo rispetto moltissimo».

In Italia cercano l’anti-Juve. L’Inter può esserlo davvero? 

«Non è così lontana. Il progetto è ottimo».