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Andrea Ranocchia è stato intervistato da Tommaso Pellizzari del Corriere della Sera.
Il calciatore si è raccontato al quotidiano nazionale ripercorrendo la sua carriera e parlando delle difficoltà che ha incontrato all'Inter ma anche dei cambiamenti con de Boer.
Queste le sue parole:
LOTTARE - Posso solo dire che era molto tempo che non ci mettevo così tanto impegno. Credo che nella vita delle persone ci siano momenti in cui ti va tutto benissimo e si arriva all’apice. Poi arrivano le difficoltà. E lì ci sono due strade. Puoi smettere di lottare e migliorare. Oppure fai qualcosa per andare più in là. Arrivi a un punto in cui sopporti tante cose non positive. Se uso questo termine è perché a me è capitato, e ho deciso di abolire la parola “negativo”. Al massimo ci sono le cose non positive. E mi sono alzato da solo l’asticella verso cose migliori.
SUPPORTO PSICOLOGICO E COLPE - Sento un pregiudizio su di me. Sembra che all’Inter non abbia vinto solo io. Ma il periodo negativo non è stato tutto e solo mio. È stato dell’Inter. In sei anni avrò visto passare un centinaio di giocatori. Oltre a tre presidenti e proprietari. Ma tutto questo cambierà. Da tre mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. È lì che tiro di boxe, per esempio. E poi c’è una persona con cui parlo. Non è uno psicologo. È laureato in Fisioterapia ma è anche esperto di mental training. Parlare con lui mi è servito a capire che quasi niente nella vita è irrimediabile. E anche quello che lo è non è detto che sia un male. Puoi subire critiche, insulti, denigrazioni. Ma se lavori tantissimo, ti impegni, vesti una maglia che milioni di persone vorrebbero vestire (e sei pagato tanto per farlo), la tua famiglia sta bene: ecco, se hai consapevolezza piena di tutto questo, è meno difficile volgere in positivo le cose che non vanno. Come mai? Non c’è una ragione precisa. Una persona fa delle cose quando è pronta a farle. Io, per esempio, con tutto quello che mi è successo in carriera, ora so come fare a dare una mano, so che posso aiutare. Per esempio a Kondogbia, che è molto introverso. Non esprime le sue emozioni, non parla molto. L’ho incoraggiato molto dopo la sostituzione nel primo tempo contro il Bologna.
FASCIA DA CAPITANO - Non c’è stato un motivo, sono tante cose, ma non mi va di dirle adesso. Forse a fine carriera. Ecco, aggiungiamo all’elenco che da capitano dell’Inter ho smesso di esserlo. Colpa di Mancini? No, con lui non ho mai litigato. Con me si è comportato bene, abbiamo sempre parlato molto, mi ha dato il via libera per andare alla Sampdoria quando volevo giocare ma è stato felice che tornassi all’Inter.
MANCINI VIA - In ritiro si intuiva che si era rotto qualcosa.
CAMBIAMENTI E DE BOER - Ha introdotto regole ferree. Come per esempio pranzare qui, tutti insieme, prima delle partite. O far colazione se c’è l’allenamento al mattino. E poi tornare qui a dormire dopo la partita. Sembrano cose piccole, ma fanno moltissima differenza. Possesso palla, tanti cross, squadra più lunga? È un modo di stare in campo che viene automatico, perché vogliamo aggredire dall’inizio. Maggiore intensità negli allenamenti? Più che l’intensità degli allenamenti o anche in partita, con questo modo di giocare è più importante la tecnica. Lo vediamo negli esercizi di base che De Boer ci fa fare in allenamento.
NERAZZURRI - I giocatori che mi hanno impressionato di più qui sono quelli del Triplete, con cui ho giocato nei primi sei mesi del 2011 erano – tutti – di un’altra categoria psicologica e tecnica. A parte loro, direi Coutinho e Kovacic. Domanda automatica... Anche la risposta: diciamo che in Italia non sappiamo tanto aspettare i giovani, ecco.
(Fonte: Corriere della Sera)
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