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Lunga intervista concessa dall'ex nerazzurro Walter Samuel ai microfoni della Gazzetta dello Sport. Tanti i ricordi snocciolati dall'argentino, partendo proprio dal suo soprannome:
«Il Muro» le piaceva?
«Esagerato, com’ero io a inizio carriera quando prendevo gol: uscivo dalla partita. Però l’odio per la palla nella tua porta esiste, chieda a Burdisso, a Materazzi, a Cordoba: diventiamo matti ancora oggi, se succede».
E così nacque il «fallo alla Samuel», intimidatorio ed entro il terzo minuto di gioco?
«Quello ve lo siete inventato voi negli ultimi anni: io ho sempre “marcato il territorio”, verso la fine della carriera forse non avevo più la stessa rapidità e magari arrivavo lungo... Però non sono mai entrato per fare solo male».
Era più facile difendere con Aldair o con Lucio?
«I primi mesi con Lucio furono duri: non giocava di reparto, ma poi ci siamo capiti ed è nata l’intesa. Di Alda ricordo che a 37 anni, a fine allenamento, si fermava a calciare per migliorare la tecnica. In una cosa erano simili: se la partita scottava, quei due non la sbagliavano mai».
Si rivede più in Manolas o in Skriniar?
«Manolas è più forte uno contro uno. Direi Skriniar: colpo di testa, lancio preciso. Forse non è la cosa che si ricorda, ma ce l’avevo anch’io».
Da ex difensore: peggio marcare Dzeko oppure Icardi?
«Tutti e due sanno nascondersi dietro il difensore sul lato opposto alla palla: era la cosa che soffrivo di più. Però diversi: Icardi vivrebbe dentro l’area, Dzeko esce molto di più, gli piace tenere la palla».
Che Icardi ha visto da poco in nazionale?
«Si sta sforzando di fare quello che gli hanno chiesto un po’ tutti. Riguardate il gol al Messico: va incontro alla squadra, protegge la palla e solo dopo va a segnare».
E Lautaro Martinez?
«Ha un futuro enorme davanti. Ma deve avere la pazienza di aspettare le sue chance e la fretta di farsi trovare pronto».
Anche Spalletti parla di «calcio in avanti».
«Con l’Inter è sempre stato difficile giocare contro la sua Roma. L’ho studiato molto, soprattutto certe giocate a memoria con il trequartista».
Scudetto a Roma, Champions con l’Inter: gioie paragonabili?
«Per una cosa sì: l’adrenalina di regalare una gioia che mancava da troppo tempo».
Scudetto alla Roma: che immagine rivede?
«Io mezzo nudo, con i pantaloncini di Mangone – i miei me li avevano tolti nella prima invasione di campo – che tiro in aria la maglia e poi non la vedo più. Io che giro per Roma ed era tutto colorato di giallo e di rosso, tutto. Ero ancora un giovane coglionazzo, mi persi la festa al Circo Massimo per volare in Argentina: potessi tornare indietro, non partirei prima di una settimana».
E se ripensa alla Champions con l’Inter?
«Quella volta al Circo Massimo ci andai: era San Siro, appena atterrati da Madrid con la coppa. Ma anche a Malpensa tornati da Barcellona fu una bella botta di brividi».
Citiamo in ordine sparso, e ne saltiamo tanti: Riquelme, Tevez, Batistuta, Totti, Zidane, Ronaldo, Beckham, Figo, Messi, Ibrahimovic, Eto’o, Milito.
«Non mi chieda il più forte, non so fare classifiche e semmai ho vinto io: è stato un privilegio poter giocare centinaia di partite dicendomi “Se non prendiamo gol, si vince: ci pensa uno di loro”. Ed è stato un fastidio vedere gente infinitamente meno forte di loro non avere la loro stessa umiltà».
Sempre in ordine sparso: Carlos Bianchi, Bielsa, Capello, Mancini, Mourinho, Maradona. Cosa le hanno insegnato?
«Diego la passione nel motivare. Bielsa a correggermi in dettagli tecnici che prima non guardavo neanche. Bianchi e Mourinho come si gestisce un gruppo. Capello con un solo esempio («Guarda che così Inzaghi te la ruba e neanche ti accorgi») mi ha fatto capire l’importanza di giocare la palla velocemente e mi ha lasciato un motto, dopo un brutto litigio con Panucci: squadra nervosa, squadra vittoriosa. Il Mancio è quello con cui ho discusso di più: allora aveva ancora reazioni da calciatore, e una volta gliel’ho proprio detto».
Sarà un allenatore, Samuel? E che allenatore sarà?
«La mia vita ora è in Italia, il calcio è la mia vita e nel calcio non mi vedo in un altro ruolo. L’interim di Scaloni in Nazionale è finito, io e Pablo Aimar gli abbiamo dato una mano per sei partite, ora si vedrà. Comunque un giorno mi piacerebbe provare ad andare con le mie gambe: anche partendo da un settore giovanile».
E da allenatore: che Roma-Inter sarà?
«La Roma fa un po’ fatica, è irregolare, a volte inspiegabile. Visto in Champions? Gran primo tempo, ha preso un colpo e si è sciolta: mi sembra un fatto mentale, più che altro. L’anno scorso mi impressionava la sua identità, ora è come se non fosse convinta fino in fondo di quello che fa e le sta mancando De Rossi: non vinci senza gente che ha vinto e in Italia è dura trovare giovani già da prima squadra a 18 anni, come fece lui. L’Inter si è consolidata: Spalletti sta trovando solidità e continuità. A Londra fino al gol ha tenuto benissimo, e guardate che il Tottenham è forte forte. Anche la Roma in casa è forte, ma io vedo ancora l’Inter almeno un passettino avanti». r
E cosa potrà dire, Roma-Inter?
«La Juve è lontana, per loro due lo scudetto sarà arrivare di nuovo in Champions. Però chi fa bene domenica prende coraggio, e ne vorrei vedere di più in tutte le squadre, non solo Roma e Inter. Per dare almeno un po’ più di fastidio alla Juve, dai».
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