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"L'Inter può vincere lo scudetto? Sì". Christian Eriksen lascia, lo scorso 21 giugno, i microfoni di Sky Sport dopo questa frase, pronunciata dopo il successo dell'Inter per 2-1 contro la Sampdoria a San Siro. Ci piace pensare che quella risposta non fosse buttata lì a caso, giusto per compiacere i tifosi o per farsi due risate con chi gli stava attorno: lo pensava per davvero. Perché Christian Eriksen è un ragazzo troppo intelligente, che non lascia un club come il Tottenham per arrivare all'Inter senza la consapevolezza intrinseca che il suo nuovo club possa davvero tornare ad alzare un trofeo e vincere lo scudetto dopo anni. E infatti è quello che è successo. Perché sì, l'Inter ha vinto lo scudetto grazie a Lukaku, Lautaro, Barella, la difesa: ma anche grazie a Christian Eriksen. Ecco perché.
Christian Eriksen è il professionista esemplare, quello con il quale tutti gli allenatori del mondo vorrebbero avere a che fare. Con la testa giusta, mai una parola fuori posto, silenzioso a livello comunicativo ma rimbombante a livello di risonanza. La Scala come sfondo nel giorno della sua presentazione, un affare che ha fatto il giro del mondo e parlare di sé per giorni. E non ci si dimentica dei titoloni dopo qualche panchina, dopo qualche prestazione al di sotto delle potenzialità di uno che tutti, a qualsiasi livello, consideravano uno dei centrocampisti più importanti d'Europa. Ma Chris va avanti, testa bassa e lavora: cerca il suo spazio, trovandolo a singhiozzo. Puntando la stagione 2020/21, che dovrà vederlo come assoluto protagonista. E così fa anche Conte, forse non con tutta quella convinzione.
Perché Christian Eriksen viene messo sì al centro del gioco, o per lo meno ci si prova: schierato, nella prima parte della stagione, da trequartista in una squadra troppo sbilanciata in avanti. Non ne giova quindi l'Inter e nemmeno lui, che piano piano torna in fondo alle gerarchie e torna nel tunnel dal quale sembrava essere uscito. Panchine su panchine, ingressi a due minuti dalla fine che avrebbero indispettito tutti: e lo hanno fatto, considerate le reazioni furenti dei tifosi sui social in merito. Ma Christian va avanti anche qui, senza uno sfogo o una reazione: una richiesta di spazio dalla nazionale, ma sempre nei toni rispettosi ed educati che lo rappresentano. Poi le parole di Marotta in diretta tv, che lo definisce "non funzionale": chiunque staccherebbe la spina.
Ma Christian Eriksen no, anzi. Christian Eriksen prende quelle dichiarazioni come stimolo, capisce che è il momento di far vedere a tutti chi è davvero. Quindi intensifica il lavoro, ascolta le indicazioni di Conte e si mette ancor di più a disposizione. E poi arriva la scintilla, la Sliding Doors: palla all'incrocio su punizione al 97' del derby di Coppa Italia. L'inizio di tutto. Perché è da lì che è tutta un'altra storia per Christian Eriksen e l'Inter, il matrimonio perfetto ad un anno di distanza. Chris si prende il posto da titolare in quel ruolo di mezzala nel 3-5-2 di Conte che sembrava impossibile potesse ricoprire. Offre una soluzione in più in fase di possesso e garantisce una copertura importante e attenta a livello difensivo. Cosa chiedere di più?
Ma perché quindi lo scudetto arriva anche e soprattutto grazie a Christian Eriksen? Perché mettendo da parte ciò che ognuno può pensare di lui, i numeri parlano chiaro: contro il Benevento, gara nella quale il danese gioca 90 minuti, parte la straordinaria striscia di 11 vittorie consecutive da parte dell'Inter. E quando Christian Eriksen non parte titolare e incide, vedi Lazio, Milan e Napoli, subentra e ti fa vincere la partita: si pensi a Inter-Atalanta, con il corner battuto da Eriksen. O a Torino-Inter, con la verticalizzazione di Eriksen che fa sì che nasca il calcio di rigore dell'1-0. E ci piace pensare che non sia assolutamente un caso che il gol scudetto di Crotone l'abbia segnato proprio lui: Christian Eriksen. Il fuoriclasse silenzioso, indiscutibile e soprattutto resiliente. Che è l'immagine dell'Inter di Antonio Conte. Che vede quindi in Christian Eriksen uno dei suoi punti più alti.
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