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Spalletti, quanto vale il terzo posto? Suning dia risposte convinte. Conte-Mourinho treno da non perdere?

Il pareggio di ieri contro la Juventus pone interrogativi importanti sul futuro dell'Inter

Marco Macca

Un'altra occasione volata via nel vento. Quel vento che, questa volta, non ha portato via parole e parole, tanto per parafrasare Spalletti, ma punti preziosi per una rincorsa Champions. Che, via via, sembra sempre più un mini campionato al rallentatore, in cui vince chi va adagio e in condizioni di sicurezza. Senza rischiare, senza osare. Ma su questo ci torneremo.

Il derby d'Italia giocato ieri a San Siro era una partita da vincere, senza se e senza ma. Perché, al netto della supremazia evidente (a livello generale) dell'avversario, la Juventus presentatasi al Meazza era una squadra a corto di motivazioni, di fame. Quello di vincere contro il rivale bianconero, per il popolo dell'Inter, dovrebbe essere sempre uno stimolo fortissimo. Ieri, però, in ballo c'erano non solo l'orgoglio, ma anche 50 milioni di buoni motivi per chiudere definitivamente il discorso per un piazzamento fra le prime 4 della Serie A. E invece, come altre volte è accaduto in questa travagliatissima stagione, non è successo.

Eh sì, perché non è la prima volta che l'Inter di Luciano Spalletti fallisce l'appuntamento non certi appuntamenti. Parliamo di quelle gare in grado di cambiare radicalmente il volto di un'annata, quelle in cui si ha l'occasione di mostrare una faccia tutta nuova. Di crescere, e di dare un nuovo slancio a un progetto tecnico che sta evidentemente procedendo nella maniera giusta, ma forse troppo a rilento.

La partita contro la Juventus, infatti, si inserisce solo all'ultimo posto di una lunga lista di appuntamenti in cui l'Inter non ha saputo sfruttare quel benedetto match point Champions e che invece hanno visto i nerazzurri farsi risucchiare pesantemente nella mischia, con il rischio concreto di patire più del previsto e di buttare all'aria anche l'obiettivo minimo (minimo, bene ricordarlo, non massimo) fissato dalla proprietà. Lazio, Atalanta, Roma, Juventus. Quattro partite in cui sono arrivati 3 pareggi e una sconfitta. Un bottino troppo misero, che spinge ad alcune riflessioni profonde in vista della prossima stagione.

Perché sì, è vero, l'Inter è terza, nonostante tutto. Terza nonostante i tanti problemi extracampo, una rosa che, seppur buona, è strutturalmente imperfetta; terza con un'evidente crescita di gioco e personalità rispetto alle passate stagione, in cui difficilmente si sarebbe vista la squadra nerazzurra mettere alle corde (al netto, come detto, delle differenti motivazioni) un avversario superiore come la Juventus. Ma è davvero un terzo posto "reale"? Parliamoci chiaro: prima di questa giornata, l'Inter in questo campionato aveva avuto un rendimento quasi pari a quello del 2017-18 (quando aveva totalizzato due punti in più dopo 33 giornate), ma la vera differenza lo ha fatto il campionato delle altre. Tanto per fare un esempio, infatti, la Roma, prima del match contro il Cagliari aveva messo insieme 12 punti in meno, mentre il Napoli addirittura 14.

Senza contare che, rispetto ad altri campionati degli ultimi anni, la media punti della zona Europa è davvero bassa. Difficile trovare, di recente, un campionato con la terza in classifica a 62 punti dopo 34 giornate, con la media di 1,82 punti per ogni match. Insomma, in tante altre occasioni, l'Inter non sarebbe stata terza, ma quinta. E questo avrebbe fatto tutta la differenza del mondo.

Dunque, al netto della crescita di cui sopra, si può davvero essere pienamente soddisfatti per questo terzo posto parziale? La risposta è no. Il che, unito alla precoce eliminazione dalle coppe europee, pone interrogativi anche sullo stesso Spalletti: è giusto continuare con Luciano da Certaldo anche nella prossima stagione, una vola analizzati tutti questi aspetti?

La soluzione dell'interrogativo non spetta certo a noi. Una cosa però è sicura: qualunque sarà la decisione della proprietà, dovrà essere convinta e non in alcun modo condizionata da fattori economici. Un conto, infatti, è andare avanti con Spalletti perché (a ragione o torto) è ritenuto l'uomo giusto per continuare il processo di crescita del progetto interista in qualità di allenatore; ma non esonerarlo per timore di un bagno di sangue economico, beh, sarebbe tutto un altro paio di maniche. Primo, perché Spalletti verrebbe automaticamente delegittimato agli occhi di tutto l'ambiente, tifosi compresi (peraltro già parecchio divisi sul suo conto), e secondo perché darebbe un'immagine tutta diversa di Suning e delle sue ambizioni, fin qui sbandierate ma mai realizzate.

I soldi non sono nostri, certo, ed è facile fare i conti in tasca agli altri. Ma risulta complicato credere che un colosso conosciuto in tutto il mondo che fattura quasi 70 miliardi di euro l'anno possa davvero spaventarsi davvero di fronte a una spesa potenziale di 60 milioni di euro, ingaggio eventuale di Conte compreso. Soprattutto perché la stessa Suning, ora che i limiti del Financial Fair Play saranno decisamente meno opprimenti, è chiamata a risposte importanti.

Siamo praticamente certi che molti dei tifosi dell'Inter sarebbero felici di vedere un giocatore in meno ma un allenatore top (ammesso che Spalletti non lo sia) in più. E, se consideriamo che sia Conte che Mourinho sono liberi contemporaneamente, potremmo essere di fronte a un treno che passa una volta sola e che rischia di non presentarsi più in stazione.

Insomma, Suning dia dei segnali, una volta per tutte. Ne hanno bisogno i tifosi, ne ha bisogno tutta l'Inter. Continuando troppo adagio si rischia ben presto di fermarsi. Con Spalletti o senza Spalletti, si dia una sterzata a un progetto che, iniziato ormai tre anni fa, ha dato fin qui briciole e poco più. Il tempo di indugiare sta terminando.

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