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Luciano Spalletti torna a parlare dopo mesi di silenzio. L'ex tecnico dell'Inter è stato ospite di Sky Sport ed è tornato sul suo periodo in nerazzurro, ma non solo. Ecco le sue dichiarazioni.
Dove si trova?
Sono nel luogo preferito di casa mia. E' la stanza delle maglie, queste pareti mi ricordano quanto possa essere stupendo questo sport e quanta felicità dia farne parte. Mi ha permesso di fare una vita da re, di conoscere campioni e di stare a contatto con personaggi unici. Cose che in una vita normale non avrei mai fatto: essere ricevuto dal Papa, ascoltare Bocelli nella palestra dell'Inter sono cose che porterò sempre con me.
Come ha vissuto la sua vita in questo periodo e come se ne esce?
Non è semplice, ma questo è il più grande infortunio di massa del mondo del calcio. I calciatori sono stati obbligati a fermarsi all'improvviso come un infortunio muscolare. Come si ripresenteranno alla partenza dipenderà dalla capacità di ognuno di loro che ha avuto a dialogare con il proprio corpo. C'è da fare un applauso al corpo sanitario, ai medici, infermieri e a tutte le persone che si sono impegnate per migliorare le cose. E' stata la dimostrazione di cosa significhi lavorare per il bene degli altri.
Si augura che il calcio italiano riparta?
Qualunque soluzione verrà adottata farà contenti e scontenti: quando siamo costretti a cambiare le cose in corsa, non esiste una soluzione equa per tutti. Io penso che bisognerà tornare a giocare mettendosi le mani sul cuore perché la gente vuole vedere il calcio: io sarei contento di veder ripartire il campionato. Andrà fatto pensando alla gente e pensando quanto ha sofferto e lottato: con la consapevolezza che il calcio è uno degli strumenti più potenti per tornare alla normalità. La gente nei momenti liberi preferisce vedere partite di calcio, è l'intrattenimento più scelto. Nei limiti della sicurezza dobbiamo pensare anche a loro.
Qual è il ricordo più bello dell'Inter?
Di ricordi belli dell'Inter ne ho molti: siamo arrivati in fondo a tutte e due le stagioni con il fiato sul collo di quelli che rimanevano fuori dalla Champions. Quei momenti sono stati forti, emozionanti: probabilmente la vittoria a Roma con la Lazio è stato uno dei momenti che mi hanno fatto gioire di più. La vittoria nel derby quando ci davano tutti per spacciati in casa del Milan nella seconda stagione: rivedere il popolo interista gioire alla Scala del Calcio è stato qualcosa che fa parte di questa stanza, perché ci sono ricordi che portano a rivivere quei momenti.
Lei si aspettava di ribaltare la Lazio?
Me l'aspettavo per forza. Quando si fa questo lavoro bisogna pensare sempre nella direzione giusta: ed è la prima cosa a cui badano i calciatori, che assorbono i tuoi sguardi e i movimenti e la convinzione di potercela fare. All'intervallo ci siamo detti le cose corrette e le reazioni sono state quelle che volevo vedere: poi ci vuole anche il calciatore di personalità e forza che non si lascia mettere nell'angolo anche se il momento non è positivo. Si va sempre a cercare il risultato più importante.
La stampa ha sottovalutato quello che ha fatto all'Inter?
Se me lo dite, mi spiace. Non so come l'avete valutata, ma il raggiungimento della Champions è l'obiettivo più importante dopo lo scudetto e dopo le partite di Champions League. La qualificazione alla Champions è superiore alla Coppa Italia: non ti dà un premio che porti a casa, ma ti fa far parte del torneo più bello del mondo.
Conte non ha avuto gli stessi problemi di spogliatoio.
Le difficoltà le abbiamo avute: io non ho mai fatto usare le squadre per obiettivi personali. Ho sempre messo il club davanti a tutto, non ho mai barattato gli obiettivi di squadra per salvaguardare la mia immagine. O si fanno le cose in modo professionale o ci si mette mano: si dice che i panni sporchi si lavano in famiglia, qualche volta si portano alla lavanderia a gettone.
Sabatini?
Oltre ad essere lui un vero genio e un grande professionista, è un grande amico: all'inizio ci siamo un po' annusati come gli animali randagi per capire chi si ha davanti. Poi è stata un'amicizia totale fatta di professionalità e stima. Ognuno di noi pensava che l'altro fosse più malato di calcio: passavamo notti intere a parlare di calcio. Se Marzullo avesse pensato a noi, gli avremmo riempito nottate di trasmissioni. E' una persona che dice le cose con una sintesi tagliente: se il calcio fosse un film, Sabatini ne sarebbe il grande regista. Sa trovare i calciatori che emozionino il pubblico. Nel gennaio 2016 senza soldi riuscì a portarmi Perotti ed El Shaarawy senza soldi: furono fondamentali per quella stagione e per quelle successive.
Dove vede lo speciale nei centrocampisti per farli diventare attaccanti aggiunti?
Cerco sempre di rendere protagonisti i calciatori, sono i protagonisti assoluti: si dialoga con loro e si va a sentire quello che dicono. Ormai sono tutti nella loro realtà e vogliono tutti far bene creando un marchio nella propria storia calcistica. Ho sempre tentato di vedere le capacità dei giocatori: Perrotta partiva mediano ma sapeva inserirsi nei momenti giusti, assomiglia molto a Vecino, che ha però bisogno di spazio definito, ma quando prende in considerazione di fare quello è difficile che cambi idea perché ha il passo più lungo. Poi sanno finalizzare, Nainggolan uguale.
Pizarro?
E' simile a Brozovic, anche Brozo vuole toccare tutti i palloni che passano dai suoi compagni. A volte questo non è possibile perché giocatori di questo livello che sono metodisti devono fare distanze lunghe. Ma loro fanno anche 45-50 metri per toccarla sempre e disperdono freschezza da usare in tutto il resto della partita.
Le piacerebbe allenare la Fiorentina?
Non conta il bel progetto o la possibilità di spendere 200 milioni: io torno ad allenare perché mi piace questo lavoro. Non vedo l'ora di farlo il prima possibile. Ora gli allenatori devono essere pronti ad allenare anche sei mesi, altrimenti si è antichi. Devi allenare quello che hai a disposizione e migliorarlo. La Fiorentina è in buonissime mani, Iachini ha le carte in regola per ambire a campionati di alta classifica. Poi si sono espressi: Spalletti si porta dietro un problema difficile da mettere a posto, meno male si sono accorti solo di quello (ride, ndr).
Il rapporto con Totti?
Io penso di essere stato sempre lo stesso. Le due fasi hanno richiesto che ci fosse un atteggiamento diverso: con Francesco penso di aver avuto un buon rapporto. Per me contano i risultati della squadra e devo passare di lì: c'è il sentimento degli sportivi e devo cercare le cose che fanno avere una classifica imperante. Io sono sempre stato lo stesso: sono successe cose che hanno determinato che i miei comportamenti fossero differenti, ma sempre mettendo davanti la squadra. Gli auguro di fare una grande carriera da manager, lo rincontrerò sicuramente.
La frase "Uomini forti destini forti" com'è nata?
E' nata così. Ha avuto un riscontro particolare, cercheremo di metterla in evidenza di più: merita una cornice. Mi ha fatto piacere vedere un medico in ospedale in questo momento che ha scritto questa frase: mi ha riempito di orgoglio e piacere. Si vanno spesso a cercare queste cose sintetiche che rendono subito l'idea a chi ascolta di cosa viene richiesto.
Qual è il calciatore che avresti voluto allenare?
Mi sarebbe piaciuto allenare Vieri, Drogba, Rooney, gente come Kakà o Cannavaro. Ce ne sono tantissimi. Però sono stato fortunatissimo ad allenarne tantissimi: quando ho deciso di allenare non me lo sarei mai aspettato.
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