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Stankovic: “Non vado a Belgrado perchè voglio lavorare. Il mio scopo…”

Riccardo Fusato

Stasera la sua Inter è di scena a Belgardo contro il Partizan. Chi meglio di Deky Stankovic può parlare della capitale serba: “Belgrado, io, la amo moltissimo. È la mia città, sono nato in un ospedale vicino allo stadio del Partizan,...

Stasera la sua Inter è di scena a Belgardo contro il Partizan. Chi meglio di Deky Stankovic può parlare della capitale serba:

"Belgrado, io, la amo moltissimo. È la mia città, sono nato in un ospedale vicino allo stadio del Partizan, passavi l'autostrada ed eri al "Jnoa", allora si chiamava così. I miei genitori sono gente tranquilla, allora facevano gli operai, stavamo bene. Ci piacevano e ci piacciono le stesse cose, il cibo saporito, le serate con gli amici, il centro della città dove si incontrano i nostri due fiumi, il Danubio e il Sava, forse in quel punto, Belgrado ha il suo scorcio più bello. Lì, a Kalemegdan c'è una statua, la chiamiamo del Vincitore.

È il simbolo della forza della mia gente. Belgrado è rimasta segnata dalla guerra, è stata qualcosa che forse ha anche cambiato il modo di vederla da parte di chi è straniero, ma si sta bene, gli amici italiani che ho portato là sono sempre tornati col sorriso. Certo, i segni dei bombardamenti ci sono ancora, si vedono, ma noi di Belgrado siamo ancora vivi e abbiamo voglia di divertirci.

Abbiamo superato anche quello.Quando torno, non la trovo troppo cambiata. A diciannove anni sono venuto a giocare in Italia, ma ci ero cresciuto, ho i miei ricordi da bambino, da ragazzo, da calciatore. Ero alla Stella Rossa, noi giocavamo al Maracanà, allora per i derby si accalcavano novantamila persone. Io a Belgrado ho sognato e ho avuto la fortuna di vedere i miei sogni diventare realtà. Sognavo i derby col Partizan e li ho giocati, ho segnato gol decisivi, ero un tifoso diventato giocatore, così di quelle partite mi ricordo che vivevo una gioia doppia se vincevamo o un dispiacere raddoppiato se non ce la facevamo. Gente caldissima, allo stadio, sarà così anche stasera. Il calcio è lo sport numero 1 da noi. Quando arrivano squadre come l'Inter la gente si accende, l'atmosfera è bellissima.

Quei derby contro il Partizan me li porto dentro. Poi, sono partito, avevo diciannove anni. Della guerra del 1999 ho avuto solo l'eco, tre mesi e mezzo di un incubo di cui non si vedeva la fine. Stasera si gioca, peccato non esserci. Ero tentato, ma non voglio perdere due giorni di lavoro, io sto facendo di tutto per tornare in campo. Starò a Milano a guardare una partita che per me ha tanti significati. È nella mia città, mi ricorda la Stella Rossa, il mio primo amore calcistico, ci sono i miei compagni, c'è l'Inter che sfida il Partizan. Sarà una grande, caldissima serata, di quelle che ho conosciuto bene."