Tra i giocatori arrivati a gennaio all'Inter c'è anche Ashley Young. L'esterno inglese sembra essersi guadagnato sul campo la riconferma per il prossimo anno. Intervistato dal Corriere della Sera, Young ha parlato della sua esperienza in nerazzurro e del fattore Conte:
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Young: “Inter, voglio restare. Conte mi ha convinto con una telefonata. Eriksen? Troppa pressione”
L'esterno dell'Inter ha parlato della sua avventura in nerazzurro e della volontà di rimanere in Italia nella prossima stagione
"Si considera un top player?
«Un giocatore esperto, non un top. Però a certi livelli l’esperienza fa la differenza».
"Young lei è stato due mesi in Italia, di cui uno vissuto in piena emergenza, e ora è a Londra. Quali differenze nella gestione dell’emergenza tra il nostro e il suo Paese?
«Da voi il lockdown è stato totale: l’Italia ha dato un ottimo esempio. In Inghilterra c’è chi ancora va al lavoro e la metropolitana è troppo affollata. Da noi ho visto scene di avidità con gente che svuotava i banconi dei supermercati».
"Lei e l’Inter siete dovuti restare in isolamento. Ha avuto paura di ammalarsi?
«Qualche timore c’è stato, la società e lo staff medico hanno però gestito perfettamente la situazione. L’isolamento non piace a nessuno, ma non è stato drammatico: era la scelta giusta per tutelare la salute nostra e degli altri».
"Riesce a immaginare un mondo senza calcio?
«C’è una pandemia globale: allo stato attuale il calcio non è importante. La gente muore, pensiamo a uscirne».
"Voleva fare il centravanti, è finito ala. Com’è successo?
«Mi sono adattato a giocare ovunque: a parte il portiere ho ricoperto ogni ruolo. Con l’esperienza capisci che conta soltanto aiutare la squadra».
"Anni al Manchester United, e poi sceglie l’Inter: perché?
«Quando Conte mi ha chiamato, ho sentito subito la sua passione, me l’ha trasmessa. Era un’opportunità e ho detto: “Vado lì, voglio far parte di qualcosa di grande”».
"Quand’è in panchina Conte sembra quasi giocare. Incita, dà istruzioni, è pressante, soprattutto con i giocatori di fascia. È difficile giocare con uno che ti sta così addosso?
«Non sta seduto un attimo, ma vederlo così coinvolto è una spinta. Ha una mentalità vincente, è un vincente nato. Per chi gioca in fascia fa gran parte del lavoro guidandoti».
"Conte in tre parole.
«Passione, mentalità, combattente. Lotta per le partite, per i giocatori e per sé».
"All’Inter cosa manca per avere una mentalità vincente?
«Siamo in lotta su ogni fronte: scudetto, Coppa Italia, Europa League. Siamo dove dobbiamo essere. In rosa c’è grande qualità, ma la squadra ha capito che per fare il salto deve lavorare ancora di più. Forse manca un po’ di esperienza».
"Lei ha avuto grandi allenatori, cos’ha Conte più di altri?
«Guida ogni allenamento con la stessa passione e intensità di una partita. Non tutti i tecnici ci riescono. È sempre lì a spiegarti, farti vedere. Guardate come esulta al gol: il coinvolgimento è totale».
"La Juve ha battuto due volte l’Inter quest’anno. Il divario è di qualità, mentalità o cosa?
«I conti li facciamo a fine stagione. Poi è vero, ci hanno battuto. Per un giorno però ciascuno di noi può essere quello che non è, in positivo o in negativo. Di certo in rosa hanno più esperienza di noi».
"Oltre a lei e altri giocatori, a gennaio è arrivato anche Eriksen. Perché fatica tanto?
«Ha addosso una pressione incredibile, succede quando sei un giocatore del suo calibro. Al Tottenham hanno fatto di tutto per tenerlo, perché sono quelli come lui che possono farti vincere trofei. Sappiamo quanto vale e quanto è e sarà importante per noi».
"Lei è in scadenza a giugno: vorrebbe restare?
«Certo che sì. Amo l’Italia, Milano, il calore dei tifosi. Voglio restare e vincere. Sto imparando la lingua, siete un popolo con passione. E poi simpatici: quando parlate in realtà strillate» (ride, ndr).
"Serie A e Premier: quali sono le differenze in campo?
«Nessuna. Forse è solo più tattica della Premier. L’intensità? Ma va’, uguale. Ho scelto l’Inter per vincere trofei: quello è il sentimento che ti spinge in qualsiasi parte del mondo uno decida di andare».
"Le nostre vite sono sospese. Come si va avanti?
«Molti dicono di non riuscire a stare chiusi in casa per tre settimane. Io chiamo spesso un mio amico. Era malato, ha avuto il cancro, è rimasto sei mesi in ospedale, sospeso tra vita e morte. Mi racconta quanto è stato difficile. Penso a lui, a quello che ha passato. Stare in casa non è difficile, si riscoprono gli affetti, la famiglia, per cui non abbiamo mai tempo. Aiuta stare insieme in un periodo così. Alla fine direi che è una grande opportunità: non sprechiamola».
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