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Dopo la tragedia che ha colpito il mondo del calcio, e non solo, il vicepresidente dell'Inter ha voluto ricordare il suo ex compagno Sinisa Mihajlovic. Queste le sue parole a La Gazzetta dello Sport:
«Eravamo lì, pronti a scendere in campo.E poi la vita ci ha voluto ricordare che all’improvviso può cambiare tutto. Abbiamo fatto un minuto di silenzio per Sinisa, sul maxischermo c’era la sua immagine e la squadra che indossava la maglietta bianca ha scritto il suo nome e il numero 11 con un pennarello».
«Certo, è successo in campo durante una partita tra Inter e Sampdoria. Lo conoscevo già per la sua ottima carriera nella Stella Rossa, il club con cui aveva vinto la Coppa Campioni, e con la Roma. Quante battaglie contro di lui... Era un difensore molto forte, adesso va di moda la costruzione dal basso e lui con quel piede costruiva benissimo anche perché aveva iniziato da terzino. E quando calciava le punizioni, era pazzesco. Quando venne a giocare all’Inter, faceva delle grandi sfide ad Appiano Gentile con Recoba e poi con Veron».
«Innanzitutto pensavo che fosse un uomo di grande personalità. E poi un lottatore. Quando giocavo contro Sinisa, ero contento perché le sfide contro i calciatori grintosi mi piacevano. Lui non mollava mai».
«Molto generoso. Gli piaceva fare gruppo, sapeva scherzare ed era sempre molto positivo. Ricordo la gioia quando vincemmo una Coppa Italia grazie a un suo calcio di punizione. Sia da compagno sia da allenatore è stato una persona vera. Ha sempre mostrato grande personalità e carattere. Un uomo leale. Avere gente così nello spogliatoio alzava il livello del gruppo. Per vincere servono persone come Sinisa, che veniva sempre fuori nei momenti di difficoltà».
«Ci hanno legati tanti momenti, ma se devo sceglierne uno la mente torna al primo incontro dopo l’annuncio della malattia. Ci scambiammo un abbraccio fortissimo dentro il quale c’era ogni cosa e il sentimento che ci legava. Lo vidi sorridente nonostante tutto: una grande lezione».
«Sono d’accordo, per carattere Sinisa era diverso da me. Ma stare con lui mi piaceva ed entrambi lavoravamo per il bene del gruppo. Questa era una cosa che ci univa tantissimo: capire di cosa avevano bisogno gli altri ragazzi nello spogliatoio. Un’altra cosa che avevamo in comune era la voglia di vincere: per noi l’allenamento e la partita erano la stessa cosa, ci impegnavamo sempre al massimo. E non dimentico che con il suo arrivo all’Inter è iniziato il nostro ciclo. Sinisa non era diplomatico, però non mi è mai capitato di pensare che avrebbe potuto evitare di esprimere un concetto magari con modi troppo diretti. Intanto provavo un grandissimo rispetto nei suoi confronti e poi raramente diceva qualcosa fuori luogo. Ogni sua parola aveva un senso. Sicuramente la guerra nei Balcani aveva lasciato dentro di lui un segno evidente. Sinisa era un uomo profondo, ricordo molte sue riflessioni sulla guerra e sulla malattia».
«La forza, che è stata sotto gli occhi di tutti. La capacità di sfidare il male con il duplice obiettivo di guarire e di far soffrire il meno possibile la famiglia nel percorso di cure e terapie. Un giorno una signora venne da me perché sua figlia aveva la leucemia e mi chiese due video di incoraggiamento, uno da parte mia e uno da parte di Sinisa. Lui fu gentilissimo e il suo messaggio mi commosse e mi commuove ancora adesso. Voglio mandare un fortissimo abbraccio alla famiglia di Sinisa, la moglie e i figli devono essere orgogliosi di lui e sicuramente lo sono. È sempre stato sorridente nonostante tutto. Mi spiace non essere in Italia, ma appena potrò incontrarli li abbraccerò forte. Oggi stanno soffrendo tantissimo e devono sapere che non sono soli».
«Ne lascia tante. Una riguarda il modo in cui vivere lo sport, con grinta, lealtà, rispetto delle regole, ambizione. Poi il suo modo di affrontare la vita, il suo coraggio, la generosità. È stato così bravo da farci credere di poter vincere questa battaglia. E ci siamo cascati tutti».
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