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Javier Zanetti si confessa a La Repubblica. Il Capitano nerazzurro parla di passato, presente e futuro, con la solita schiettezza:
Confessi, e dia una speranza a noi normodotati: lei è in queste condizioni a quasi 39 anni perché fa vita monacale, ed è pure un po’ disumano.«Ma no, faccio cose normalissime. Per abitudine non vado a letto presto: mai prima di mezzanotte. Mi alzo alle 7.15 del mattino, accompagno i figli a scuola e vado al campo. In allenamento do tutto, perché è un lavoro che ti ritrovi in partita. Poi ho la fortuna di poter mangiare ogni cosa, a pranzo e a cena, dalla pasta alla carne, senza ingrassare di un grammo».
Domani lei, Javier Zanetti, gioca per la trentasettesima volta contro la Juve, è all’Inter da quasi 17 anni, sarà la sua partita numero 566 in A e la 792 in nerazzurro, mentre le 1000 ufficiali in carriera le ha già compiute: se le danno del vecchio si arrabbia?
«Sono discorsi che non mi toccano. Perché io mi sento bene, capito? Sono sincero: a volte io stesso mi stupisco. Ho ancora voglia di campo e gli allenamenti non mi pesano. Mi diverto e penso di poter essere ancora utile. Rispetto a dieci anni fa ho perso qualcosa in esplosività e in continuità, ma me la cavo abbastanza bene nel resto».
Pare che i dati in possesso dello staff tecnico non lascino dubbi: lei è ancora quello che in partita percorre più chilometri di tutti.
«Già. Ma attenzione: sarei il primo, se mi accorgessi di essere un problema, ad alzare la mano e a togliere il disturbo. Per rispetto dei tifosi e per il rapporto che c’è con la famiglia Moratti. Per ora quel momento non è arrivato, mi sento bene e mi piacerebbe continuare, magari non per giocare 50 partite all’anno ma per rendermi utile. Però se a giugno la società mi chiedesse di farmi da parte non esiterei a obbedire ».
Ma lei quando smetterà?
«Non lo so, davvero. Penso sempre che la prossima partita sarà l’ultima, quindi vivo alla giornata, mi alleno e mi metto a disposizione. Non pretendo di giocare perché sono il capitano e sto qui da una vita, come ho sentito dire in giro».
Li ricorda tutti gli scontri con la Juve?
«Certo. Sempre sentiti, duri. Il primo nel dicembre 1995, 1-0 per loro, gol di testa di Vialli. Ne ricordo benissimouno a Milano nel 1997: loro straordinari nel primo tempo, aggressivi e tosti, noi in sofferenza, poi nella ripresa vinciamo con assist di Ronaldo e gol di Djorkaeff».
Il più bello?
«Almeno tre. Il nostro 3-1 a Torino nel 2003, dopo tanto che non vincevamo lì. L’1-0 in Supercoppa nel 2005 con gol di Veron, sempre a casa loro: iniziava il nostro ciclo vincente. E il 2-0 nell’anno del Triplete, con quel fantasticogol di Maicon e loro che giocarono alla morte, anche se non avevano obiettivi, perché volevano farci perdere lo scudetto».
Il più brutto?«Troppo facile: Juve-Inter del 1998, col rigore non concesso su Ronaldo. Successe di tutto, e c’era in palio lo scudetto».
Domani potreste farlo voi, un brutto scherzo alla Juve?
«Ci giochiamo tantissimo, noi e loro. Vincendo faremmo un favore al Milan purtroppo... ma dobbiamo pensare a noi, tre punti sarebbero un’enorme carica per il finale di campionato. Ce l’ha chiesto anche Moratti: ci ha ricordato che non dobbiamo mollare, vuole che l’Inter sia sempre protagonista. Con la Juve sarà la solita partita, frutto di una grande rivalità. Siamo abituati a percepire un ambiente difficile a Torino, sappiamo cosa ci aspetta. Ma l’importante è che la rivalità rimanga nei confini del gioco, lasciando fuori tutto quello che è successo prima».
Che avversario era Antonio Conte?
«Un lottatore, non mollava mai: lo so bene perché ce l’avevo sempre di fronte. La Juve di quest’annoha chiaramente la sua impronta, il suo carattere. Vedete in panchina come si agita? Lui sente il calcio così e sa trasmetterlo alla squadra».
Per la prima volta dopo tanto tempo guardate la Juve dal basso.
«È un po’ strano, ma anche normale: dopo sette stagioni, questa sarà la prima in cui non mi toccherà alzare un trofeo. Doveva accadere. Il problema è che ci è capitato tutto insieme, ogni negatività è arrivata. Ma non dobbiamo mollare e niente processi: sta finendo un ciclo stupendo di 7 anni per un gruppo sano, solido. Abbiamo vinto utto con quattro allenatori diversi,quindi qualcosa di buono c’è, no? Siamo amareggiati, ma qui non esiste lo scoramento. Perdiamo, poi reagiamo; arriva un’altra mazzata e proviamo a ripartire ancora. Questo è un gruppo che non molla. Sento dire “a questi non frega niente” ma mica è vero, anzi è il contrario».
Il prossimo anno sarà necessario un rinnovamento: lei come lo imposterebbe?
«Con un mix di giocatori esperti e di giovani. Io sarò anche anziano, come dicono tutti, ma Cambiasso ha 31 anni, altri ne hanno 32 o 33, non sono vecchi e possono dare ancora tanto. Pian piano si innesteranno i giovani: è un processo normalissimo».
Moratti le chiede spesso consigli?
«Col tempo è nato un rapporto che non è più da calciatore a presidente, parliamo di calcio e ditante altre cose. Certo, lui mica fa tutto quello che gli dico io: ma se c’è un momento difficile con chi olete che parli, Moratti, se non col capitano che è qui dal 1995?».
Ranieri che allenatore è?
«Esperto, concreto, ha vissuto tanto calcio e chiede cose normali. È rimasto nonostante tante sconfitte perché è stata una stagione piena di cose negative, di cui siamo tutti responsabili».
Quando lei smetterà, magari nel 2030, cosa farà?
«Non l’allenatore. Vorrei lavorare nell’Inter, con un ruolo importante».
Sa che in quasi 17 anni lei ha saltato solo tre sfide con la Juve?
«Se lo dice lei... ma è sicuro? (espressione smarrita, ndr)».
La prima nel 1996...
«Forse perché tornavo dalla nazionale, boh...».
La seconda nel 2005.
«C’era Mancini, no? Strano, non me lo ricordo».
La terza nel 2010, con Benitez.
«Possibile...?».
Poi, dopo due minuti di controllisull’archivio di inter. it, l’illuminazione:
«Ma certo! Avevo avuto lo pneumatorace a Palermo, due settimane prima. Ecco perché non c’ero ».
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