editoriale

10 scatti nerazzurri da incorniciare

Sabine Bertagna

In barba a tutto e a tutti, alle prestigiose giurie di altrettanto prestigiosi premi, alle classifiche più o meno meritocratiche (a volte semplicemente fantaclassifiche), alle istituzioni e alle tradizioni, ecco in barba a tutto questo, il 2010...

In barba a tutto e a tutti, alle prestigiose giurie di altrettanto prestigiosi premi, alle classifiche più o meno meritocratiche (a volte semplicemente fantaclassifiche), alle istituzioni e alle tradizioni, ecco in barba a tutto questo, il 2010 rimarrà scolpito nella roccia come un anno esclusivamente nerazzurro. Sono 5 i trofei conquistati dopo una stagione giocata sul filo della tensione, senza arrendersi mai (nemmeno quando mancavano poche manciate di secondi al fischio finale), con quella determinazione che rende invincibili i forti, eroi i folli. Eravamo consapevoli del fatto che per vincere tutto bisognasse incontrare anche il giusto favore degli astri. Non solo. Bisognava volerlo più di ogni altra cosa. Loro lo hanno fatto. Alla guida un comandante inimitabile: il re dei guerrieri, l’incarnazione di un’altra idea di calcio, un genio irriverente. I trofei arrivati nella stagione in corso sono frutto del lavoro passato, ma non per questo meno preziosi (grazie, Rafa!). Abbiamo provato a congelare in dieci scatti un anno che sarà difficile raccontare ai figli dei nostri figli senza troppi sbrodolamenti. Buon 2011, Campioni di Tutto!

INTER 2-MILAN 0.“L'unico modo per perdere questa partita era rimanere in sei in campo. Perché in sette l’avremmo vinta.” E’ questo il commento di Mourinho dopo una delle vittorie più spettacolari del campionato. L’espulsione di Sneijder, la fastidiosa sensazione che si stesse tentando di riaprire il campionato, l’arbitraggio insufficiente di Rocchi (e siamo buoni per via delle feste) che culmina in un rigore (parato!) e nella seconda espulsione. Sugli spalti si respira tensione, incredulità, rabbia. Milito prima, Pandev poi, mettono la firma su un 2-0 che rimette i cugini al loro posto (grazie al modulo 4-2-tutti a casa). Sul finale il popolo del Meazza dispensa cori per il suo condottiero (mai un istante fermo in quei 90 minuti pazzeschi), ma è proprio lui a indicare i veri eroi, quelli in campo. Ancora non lo sapevamo, ma si stavano scrivendo le prime pagine della leggenda.

MANETTE. Un uomo speciale non comunica mai in maniera convenzionale. Il disappunto di Mou è lo stesso con il quale il popolo interista decide di vestirsi da quel momento della stagione in poi (lo stesso con il quale, in fondo, si è sempre vestito). La teatralità è solo uno dei tanti mezzi per raggiungere l’obiettivo. In un Inter-Sampdoria giocata quasi da subito in nove uomini (espulsione dei due difensori centrali) questo gesto diventa uno stile di vita. L’unico possibile. E il calcio incomincia ad assomigliare ad una guerra da vincere a tutti i costi… 

CHELSEA. La svolta avviene nella sfida che conta. L’andata in casa ci proietta come “favoriti”, ma il pensiero di andare a Londra per strappare il risultato ci fa rabbrividire. L’uomo copertina è l’infaticabile Samuel Eto’o, che viola la rete del Chelsea e porta i nerazzurri ai quarti. L’affare del secolo (Eto’o=Ibra+50 milioni) gioca una stagione da manuale. Le parole d’ordine sono sacrificio e umiltà; Samuel fa il lavoro sporco, non si lamenta e manda avanti la baracca. Quando decide di mettersi in mostra diventa letale. Per gli altri… 

I MARZIANI SIAMO NOI. Quanto tempo era che il Barca non perdeva una partita? Subendo più di due reti? Beh, questo record stirato nel tempo conosce una fine a San Siro proprio contro l’Inter. I ruoli si ribaltano e i nerazzurri portano a casa l’impresa. 3-1 ai marziani catalani, che contro la prestazione superba dell’Inter (Messi fermato dal Capitano, Sneijder, Maicon e Milito strepitosi) nulla possono, se non tentare ad un certo punto di difendersi. In quella fantasmagorica serata si parlava già di Remuntada, ma noi non pensavamo altro che ad una piccola e innegabile verità: per una volta i marziani eravamo noi! 

I MARZIANI ATTERRANO A MALPENSA. La sconfitta più bella della nostra storia è certamente questa. In dieci per l’espulsione di Motta le cose avevano preso subito una brutta piega. I giocatori avevano un solo chiodo fisso: chiudere le maglie del gioco dei catalani. Impedirgli di sovrapporsi per farci male. Sputare sangue contro chi aveva promesso che avrebbe venduto cara la pelle. E noi a casa impietriti davanti alla partita più interminabile della storia (quanto manca alla fine? Quanto???) a fissare le lancette dell’orologio, che sembravano prolungare la nostra agonia. Quel gol annullato, di quanti anni di vita ci ha privato (gufi, avete esultato troppo in fretta!)! Poi il fischio finale. E quella frase di Mou "Chiedo ancora uno sforzo ai tifosi. Venite a prendere questa splendida squadra all'aeroporto a Milano!” Che cosa? La Malpensa, che attende i suoi eroi, sembra San Siro nelle partite che contano. 5.000 tifosi, il mercoledì sera di una serata meneghina, in barba alla stanchezza e agli impegni di lavoro (domani è un altro giorno!) sono uno dei motivi delle lacrime di Josè al Bernabeu. Se non è amore questo… 

CALCIO A TRADIMENTO (e uno). Complimenti ancora a chi ha deciso che la finale di Coppa Italia dovesse essere giocata in un campo neutro come quello romano. Inno della Roma, falli e calci hanno reso quella finale una partita stupidamente nervosa e davvero poco attraente. Il calcio dell’intoccabile Pupone a Balotelli ha svelato l’incredibile insofferenza di una squadra che non riesce a vincere quando serve e che si rifiuta di ammettere la propria inadeguatezza. Una nota amara addolcita dalla Coppa: il primo titulo nerazzurro è in bacheca! 

SILENZIO (e due). Ci sono emozioni che non hanno bisogno di parole. Servirebbero solo a banalizzare qualcosa che non può essere descritto. Qualcosa che desidera sciogliersi nel silenzio, soprattutto quando per troppo tempo è stato ingabbiato. Il 5° scudetto consecutivo conquistato dall’Inter arriva dopo una parabola impazzita. In un primissimo momento sembra già cucito sul petto, poi la corsa rallenta e concede crudeli attimi di illusione ai suoi inseguitori. C’è un momento in cui non siamo più la capolista (eravamo abituati bene, negli ultimi anni!). Essere primi non è una cosa per tutti, l’Inter lo sa, aspetta e si riprende la cima della classifica quando è ora di riprendersela. E a quel punto anche la frenata in campionato sembra confezionata apposta per godersi ancora più intensamente uno scudetto tanto agognato (qualcuno ha detto che 5 è meglio di 4). Lo sanno i giocatori, che esplodono incontenibili. Lo sa José Mourinho, che decide di festeggiare in silenzio, seduto sul pullman. In solitaria estasi. E dire che solo noi sappiamo che cosa ha provato in quell’istante non è davvero una banalità. 

BERNABEU, 70°, MILITO (e tre). La differenza che corre tra l’arrivare in finale e vincerla è sottilissima, ma ineguagliabile. E’ la stessa differenza che si nasconde tra un movimento prevedibile e uno inaspettato. Tra l’essere fermato da un avversario e scartarlo. Diego Milito è la differenza tra ciò che eravamo prima del 22 maggio e ciò che siamo ora: una pagina di storia nerazzurra riscritta dopo qualcosa come 45 anni. Il secondo goal del Principe è il gesto atletico più inaudito e pregevole che abbia mai visto dal vivo. La sintesi di un pensiero che traduce sul campo una inderogabile volontà. VINCERE! 

CAMPIONI DELL’UNIVERSO. L’unico obiettivo mancato di questa annata, probabilmente irripetibile, è la Supercoppa Europea. Volevamo anche quella, direte voi. Avidi! La Supercoppa italiana e il Mondiale per Club chiudono il 2010 con il botto. Come sentenziava Eto’o alla vigilia della sfida con l’incognita Mazembe “le finali non si giocano, si vincono”. L’importante è sentirle come finali e non come semplici passeggiate. Le pagine dell’addio a Rafa si stavano scrivendo quando il Capitano stava sollevando la coppa. Questo perché all’Inter nulla è normale. Il dna nerazzurro è così: eccessivo in ogni sua sfumatura, nel bene e nel male. Prendere o lasciare! 

IL LEO (e il cerchio si chiude). Tra Rafa e l’Inter la storia si è conclusa, senza essere forse nemmeno mai iniziata. La scintilla non è scoccata. Moratti ha quindi scelto lui, il Leo. L’ha scelto perché è una gran brava persona, intelligente, di classe, intellettualmente onesta, con un passato da buon giocatore (quella mania di aggiustarsi il ciuffo fa un po’ Mancini e poi il Mou ha dato la sua benedizione). L’ha scelto perché lo ha sempre stimato e dato che essere enormemente competenti e basta, a volte, non fa la differenza, è meglio fare una scelta di pancia che di pedante raziocinio. Il Leo non ha moltissima esperienza come allenatore (in fondo ha allenato solo una piccola…!), ma ce la farà. Il Leo è esattamente quel tipo di professionista che uno è fiero di avere nella propria società. Non ci soffermiamo sulla questione sgarbi accennata in toni vaghi dall’altra squadra di Milano (do you know, Ibrahimovic?). Noi, uno come il Leo, non l’avremmo mai lasciato andare…