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Un bagliore che ha scacciato via gli spettri aleggianti nel giorno di San Siro. Momento di calma apparente? Quando ci si addentra nell’universo Balotelli diventa pura utopia: l’importanza di essere (e sentirsi) un predestinato, una conferma adeguata a tale “condanna”. Il corollario che disegna perfettamente la personalità del giovane attaccante è ben definito, confermato dall’ultima esibizione mostrata con i tartari del Rubin Kazan. Una miscela di combinazioni che fotografano il ritratto di un affresco entusiasmante e complicato: l’apparente menefreghismo, il virtuosismo tecnico che incanta e disorienta l’avversario, l’immancabile “balotellata” (ammonizione evitabile come nel 99% dei casi in cui è coinvolto) e annessi siparietti, da dividere solertemente con compagni di squadra, allenatore o difensori “sicari” ingaggiati per limitarlo drasticamente. Il tutto condito da una disarmante, folle, unicità. D'altronde sin dalla sua comparsa si aveva avuta netta la sensazione di trovarsi al cospetto di un giocatore diverso, lontano dal prototipo della giovane promessa che deve entrare in punta di piedi in uno spogliatoio di professionisti navigati. Essendo il calcio, sport dai delicatissimi equilibri collettivi, diventa infatti essenziale un percorso che consenta la regolare convivenza di gruppo. Paradossalmente nella sua crescita comportamentale (quella tecnica la discutono solo i “non vedenti” che non vogliono vedere) ha influito negativamente la vicinanza con l’esempio più fulgido di giocatore accentratore ed individualista: Zlatan Ibrahimovic. Dal genio svedese, Balotelli ha assorbito atteggiamenti che già erano spropositatamente presenti nel suo già accentuato ego. Una maturazione fisiologica, accompagnata dai rimproveri paterni di compagni, staff tecnico e dirigenziale, con un Josè da Setubal, bastone e carota, che lo ha puntualmente redarguito, non risparmiando reprimende memorabili, inframezzate da qualche timida carezza necessaria. Al di là delle oggettive difficoltà nel domare tale personalità, una diffida necessaria va rivolta agli episodi di accanimento che gruppi di tifosi intellettualmente discutibili, sfogando la loro becera rabbia repressa, ciclicamente hanno riversato nei confronti di un ragazzo condannato a subire, a prescindere. Non esenti da esami di coscienza, i sapientoni di turno e “demagoghi di professione”, che essendo nati saggi e beneficiari della verità assoluta, hanno bollato celermente il ragazzo irriverente, maleducato, eccessivo (in talune circostanze non rappresenta necessariamente un limite), etichettandolo come esempio nocivo assoluto, e inserendolo nel folto partito delle eterne promesse non mantenute. Sentenze inappellabili che non hanno tenuto conto di sfumature non trascurabili, come le logiche debolezze che convivono in un ragazzo in aperto conflitto con se stesso e con le labili certezze che hanno accompagnato il suo ancor breve tragitto esistenziale. Un diciannovenne che non perde occasione per esaltato il rapporto indissolubile con la famiglia bresciana che gli ha restituito una dignità, consentendogli il diritto sacrosanto di godersi un’infanzia legittima da bambino amato, dopo che il destino beffardo, sin dalla sua nascita, si era divertito a mettergli i bastoni tra le ruote. Un ragazzo di “pancia”, privo di barriere preconfezionate, anticonformista, magari un po’ pretenzioso (caratteristica immancabile nei giovani indomabili) ma trasparente nella sua ingenuità, condannato per indole ad una impervia e complicata corsa ad ostacoli: una passo avanti, uno indietro, una serie di prodezze illuminanti, e di debolezze imbarazzanti, un sorriso, un’arrabbiatura, sfide avvincenti che la vita propone quotidianamente. Ma se questo è il prezzo e il peso che si deve pagare per la gloria, la strada è ben tracciata, adesso sta a Straordimario compiere la prossima mossa…
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