editoriale

Carta bianca? Facciamo grigia!

Alessandro De Felice

Troppo breve il passo che ha portato l’Inter a traslocare dall’élite del calcio mondiale all’anonimato delle invereconde classifiche degli ultimi anni. Ancora meno tempo hanno impiegato i tifosi nel cogliere le difficoltà che presto...

Troppo breve il passo che ha portato l’Inter a traslocare dall’élite del calcio mondiale all’anonimato delle invereconde classifiche degli ultimi anni. Ancora meno tempo hanno impiegato i tifosi nel cogliere le difficoltà che presto avrebbero soffocato il club: che le cose sarebbero cambiate in fretta lo avevamo capito tutti. La nuvola nera all’orizzonte ha guadagnato terreno, a farne le spese Andrea Stramaccioni, ricoperto di grandine e confusione. Un'Inter sviscerata della sua identità, con la pesante carcassa flagellata dagli eventi e dalla discutibile gestione. Nerazzurri costretti alla bufera in mare aperto, con Rocchi e Schelotto al timone e l’altissima percentuale di un remake tutto italiano di Titanic. Solo una diciottenne promessa croata a schiarire il cielo ad ogni tocco di palla, dribbling o accelerazione: Mateo Kovacic, il colpo d’arte su una tela fitta di squarci, un 10 limpido tra troppe magliette striminzite e non da Inter. É probabilmente questo il motivo di tanto affetto da perte dei tifosi nei suoi confronti, tutto da ricercare in quel triste pezzo di storia del club nerazzurro. Kovacic l’uomo da cui ripartire.Ecco perché adesso appare paradossale un concetto diametralmente opposto: quello che vede il sacrificio del classe 94 come passaggio fondamentale per rilanciare un club, che nel frattempo non ha superato alcuna difficoltà, ma semmai ne ha evidenziate altre. Quello di Kovacic è un caso che sta a cuore, che mescola i pensieri generando confusione. Il caos ed il dispiacere non aiutano, anzi, deformano ogni metro di valutazione che si sforza di essere oggettiva. I tifosi si oppongono alla cessione del croato e inveiscono contro la società. Un peccato di valutazione che ignora una verità abbastanza evidente: il club ha dato carta bianca al tecnico e non avrebbe mai pensato di vendere Kovacic senza l’avallo di Roberto Mancini, che non reputa il ragazzo parte integrante del proprio progetto. É questo l’unico motivo che spingerebbe il 10 nerazzurro lontano da Milano. La riflessione è doverosa, anche se ferisce. Fa male soprattutto a chi in Roberto Mancini ha intravisto fin dall’inizio una figura impeccabile, in grado di risollevare l’Inter a colpi di bacchetta. Ma il Mancio è comune mortale, con pregi, difetti e qualche accanimento che lo stesso figlio gli attribuisce senza fare complimenti. Siamo il popolo che ha detto addio a Ronaldo, da allora non c’è interista che non abbia imparato la lezione: qualsiasi calciatore è sul mercato, ma c’è modo e modo di vendere. Nonostante l’annata non brillante, il valore del cartellino di Kovacic è raddoppiato, darlo via adesso significherebbe cederlo nel peggior momento possibile, ricavando dalla vendita il minimo sindacale. Gestione opportuna e matura prevederebbe una soluzione completamente opposta da parte del club nerazzurro, che forse si trova tra le mani un talento di gran lunga superiore alla propria capacità di riconoscerlo. Trattare la cessione di Kovacic a 25 milioni di euro equivale ad esporre l’insegna discount a margine delle nostre mosse di mercato. Giusto assecondare Mancini, a patto che si accontenti di ricevere carta grigia, a metà strada tra la bianca e la nera. Perché come spesso accade, la verità si trova nel mezzo.