editoriale

Chiuso per discriminazione

Sabine Bertagna

Forse la domanda giusta, alla luce della chiusura di San Siro per Milan-Udinese, è come siamo arrivati fin qui. Per trovare le risposte, a sensazione, è necessario fare un salto considerevole nel tempo. Fermarsi all’introduzione delle...

Forse la domanda giusta, alla luce della chiusura di San Siro per Milan-Udinese, è come siamo arrivati fin qui. Per trovare le risposte, a sensazione, è necessario fare un salto considerevole nel tempo. Fermarsi all'introduzione delle nuove norme, palesemente sottovalutate dalle società, non è sufficiente. C'è stato un momento storico in cui in certi stadi, in particolar modo in uno, era solito levarsi un coro palesemente razzista e di fattura spregevole. Meschina. Il bersaglio prendeva il nome di Mario Balotelli e bersaglio, per alcuni tifosi, lo è ancora. "Non ci sono negri italiani" scandito come una sentenza che già disegnava il declino di un popolo  incapace di guardarsi allo specchio attraverso le nuove generazioni. Immaturo. Retrogrado. Quel coro, diranno alcuni, è stato punito. Alcune volte, rispondiamo. Non sempre. Non con la determinazione necessaria.

In quel periodo esportavamo razzismo senza il minimo pudore. I bianconeri, presi dalla loro cieca lotta probabilmente contro i colori nerazzurri, trovarono intelligente intonare quel coro schifoso anche a Bordeaux, in occasione di una trasferta europea. Sì certo, all'Olimpico fu inflitta la squalifica del campo, ma fu anche generosamente scontata in una partita a porte chiuse. Con le norme odierne la società bianconera avrebbe probabilmente dovuto ritirarsi dal campionato. Impresentabili ed ingiustificabili. E qui viene il punto. Perché allora il confine fra "l'odio per Mario è di stampo razzista" e la famosa frase "ma lui è un provocatore era piuttosto labile". Allora, ci furono tantissimi personaggi del mondo del calcio, sindaci, giornalisti (forse gli stessi che oggi combattono la battaglia del razzismo?) che non furono pronti nelle loro condanne. Che concessero spazio e dubbi a chi questi cori beceri li cantava con soddisfazione. Il tutto fu etichettato sbrigativamente, punito poco e male, condannato dagli stessa media in maniera confusa. In quel tentennare incerto si infilarono di prepotenza tifosi trionfi della loro ignoranza. Felici di aver trovato giustificazione alle loro intelligentissime trovate. E rieccoci qui, a nemmeno troppi anni di distanza, a cercare di lavare via il razzismo dagli stadi. Con una foga improvvisa. E improvvisata.

"Discriminazione territoriale" è il nuovo mantra. Lo spauracchio. Il simbolo di una lotta, della quale ancora non sono chiari gli obiettivi. Quali potrebbero essere? Educare i tifosi allo stadio? Allontanarli? Punirli per dare una dimostrazione di quanto sia brava l'Italia a pulirsi la coscienza? Nessun arbitro ha mai avuo il coraggio di sospendere una partita, nemmeno in presenza delle condizioni più lampanti. Lo stesso Milan ha prontamente sostituito Constant, in occasione di una partita in cui si era allontanato per cori offensivi verso la sua persona, annullando l'effetto della sua protesta. Ci verrebbe da dire che l'educazione e la civiltà andrebbero prima di tutto insegnate fuori dallo stadio. A partire dalle aule del Parlamento dove altro che discriminazione territoriale. Ma se si vuole cavalcare una battaglia del genere è opportuno farlo con intelligenza. Scagliarsi solo contro alcune espressioni, punire cori che si cantano da mille anni, punirli solo se li canta una determinata tifoseria non sono i passi corretti. Come  potrebbero esserlo? Non siamo nemmeno d'accordo su cosa sia definibile come discriminatorio e razzista. Offuscati dal tifo. Annebbiati da mille pregiudizi.

La verità è che gran parte degli addetti ai lavori ha delle gigantesce fette di salame sugli occhi. Poca memoria e spesso anche un po' di malafede. Questa è una battaglia che si combatte a prescindere dai colori, ma così non è stato e ancora non è. Salvaguardare Mario dagli attacchi beceri è stato palesemente più facile quando il giocatore ha iniziato a indossare la maglia rossonera. Il Milan ora ha una gigantesca gatta da pelare perché proprio quando aveva annunciato che avrebbe fatto ricorso per la chiusura dello stadio arrivata in seguito ai cori di Torino, il principale esponente della Curva Sud quei cori li ha rivendicati. Erano voluti e la squalifica cercata. Ma sarebbe un errore pensare che questo sia un problema di sponda Milan. La solidarietà tra curve è già stata abbozzata. I tifosi napoletani hanno esposto nella loro curva uno striscione che recitava "Napoli colera". Non è stato messo a verbale, non è stato punito. Come volevasi dimostrare. Se gli uomini della federazione non sono tenuti a interpretare e a cogliere le sottili sfumature autoironiche dell'iniziativa, questo striscione andava punito come tutti gli altri. I tifosi bianconeri hanno intonato l'inno di Mameli durante il minuto di silenzio. Nessuno ci ha visto malizia. Perfettamente normale, no? E quindi non messo a verbale, non punito. A Sassuolo i cori dei tifosi interisti nei confronti dei napoletani non furono messi a verbale e quindi non puniti. Se ne parlò per tutto il pomeriggio ed è facile credere che anche per questo tam tam mediatico gli stessi cori cantati in serata dai milanisti vennero invece immediatamente sanzionati. In Curva Nord contro la Roma è stato esposto una sorta di avviso velatamente minaccioso. ''Visto che con le vostre leggi è cosi' facile chiudere un settore la prossima volta quando chiuderlo lo decidiamo noi''. Qui nessuno si schiera a fianco degli ultras e il fatto che alcune società in particolare ancora dipendano dai loro ricatti è abbastanza vergognoso. Qui si chiede di riflettere sui passi intrapresi. Provvedimenti vuoti di contenuti e pieni di contraddizioni. Senza nessun tipo di parzialità garantita. Punite finora la Lazio, l'Inter, il Milan. Sentenze affidate alle orecchie di ispettori che non possono (non vogliono?) sentire tutti i cori e soprattutto (vedi quando i tifosi sono in trasferta) non sono in grado di distinguere nè i settori corretti dai quali questi cori partono, nè ovviamente i diretti responsabili. Una giustizia affidata al caso. E' il solito punire tutti per non punire nessuno. All'italiana. L'importante è fare bella figura. Combattere il razzismo è un'altra cosa. Ma ormai il danno è fatto. E come al solito, chi di dovere, se ne accorgerà tardi. Stavolta forse troppo.

Twitter @SBertagna