- Squadra
- Calciomercato
- Coppa Italia
- Video
- Social
- Redazione
editoriale
Si sente dire che dalla merda talvolta nascano fiori, ma l’episodio che ha poco elegantemente chiosato la sfida tra Napoli e Inter martedì sera, al momento ha contribuito solamente a generare altro letame. Di profumati steli nemmeno l’ombra.
Inutile ripercorrere ciò che è successo tra Roberto Mancini, tecnico dell’Inter e Maurizio Sarri, eccellente allenatore della miglior squadra vista sinora in campionato per punti e qualità di gioco espressa. Già sappiamo.
Una sorta di apostrofo marrone tra le parole BUONA ed EDUCAZIONE, per sintetizzare. Il comportamento di Sarri è stato imbarazzante e miserevole. Da un punto di vista umano prima di tutto. Il tecnico del Napoli, nelle interviste post-partita, ha fatto quasi tenerezza per l’affanno con il quale cercava di giustificare un gesto di infimo livello da lui messo in scena. Una profonda e sentita pietas umana nei suoi confronti è stata il sentimento più naturale nell’udire le sue sdrucciolevoli giustificazioni. Chiedere scusa gli restituisce un po’ di onor perduto, ma non basta.
Ciò che stride e disgusta, unitamente al gesto, sono poi le fazioni manichee che si creano sulle piazze mediatiche e virtuali a seguito di questa dozzinal tenzone. "Io sto con Mancini, io sto con Sarri". Non c’è da stare con nessuno, se non prendere atto che siamo in un Paese con gravi derive d’inciviltà. E ogni volta rimbombano nelle orecchie le piccole frasette di rito con cui i soloni del tempio calcistico si riempiono la bocca, abituata per troppo, troppo tempo al sottovuoto, così come i loro inoperosi crani. Nella summa di concime verbale ecco le migliori sentenze dette o scritte:
“Sono cose che devono restare sul campo”. Ma chi l’ha detto? Può essere valido, al limite, per i giocatori che in un raptus agonistico possono trascendere, sebbene a vedere i loro stipendi e sapendo la loro visibilità dovrebbero darsi una gran regolata. Da noi cresce il miglior vivaio di simulatori e il calcio italico è l'unico luogo in cui dopo aver subìto un fallo i calciatori... si pettinano. Ma un 57enne allenatore di Serie A, che guida la prima in classifica dovrebbe avere coscienza del suo ruolo, a maggior ragione perché è uno che ha fatto la gavetta sui campi di provincia. Scusate, ma perché i calciatori si coprono sempre la bocca in campo? Perché sanno di essere ripresi, e Sarri no? Se vedere Mancini protestare con il quarto uomo per l’entità del recupero genera in una persona una reazione simile bisogna farsi un paio di domande, oppure farsele fare… Per la serie “cose che devono restare in campo”, chiedere a Luis Suarez cosa pensano di lui in tutta la Gran Bretagna dopo che ha apostrofato Evra con insulti razzisti. Da noi invece sarebbe un eroe.
“Sì ma Mancini non doveva dirlo”. Penso che Mancini avrebbe fatto volentieri a meno, dopo aver portato a casa una grande vittoria sul campo più difficile d’Italia, di parlare dell'accaduto. Se lo ha fatto significa che è stato evidentemente ferito dalle parole del collega. Se l’Inter avesse perso, tutti avrebbero dato del piangina a Mancini, ma siccome ha vinto cangia in spione. Si, perché nel Paese dove l’omertà impera ed è diventata una consolidata pietra angolare della way of life italica, una persona che sceglie di rovinarsi una bella serata di calcio, mettendo a nudo le fistole prodotte da un insulto e rivelando di essersi preso del “finocchio” o “frocio” è un poveraccio, una spia, un pusillanime. Non un Uomo. "Tu vuò fá l'americano..."
“Vabbè ma "frocio" non è poi così grave come insulto”. Già la parola insulto dovrebbe far insospettire i luminari senza lume che hanno vomitato tale sentenza. Il problema è che l’insulto in una società civile non dovrebbe far parte della quotidianità e tantomeno in un evento pubblico, televisivo e seguito da milioni di persone. Minimizzare è delittuoso perché rende l’eccezione normale e l’insulto entra a far parte di un modo di essere accettato e condiviso. Come è in effetti nel nostro Belpaese, in cui volano vaffanculo per un parcheggio o per un sorpasso, in cui sei un uomo se alzi la voce e le mani (se sulle donne poi assurgi a idolo assoluto), in cui salto la fila perché sono più furbo e ti faccio il dito medio e, unico Paese in Europa, dove il pedone deve ringraziare l’automobilista che si ferma in corrispondenza delle strisce pedonali. E i froci restano froci. "Ma sei nato in Italy..."
“Ma anche Mancini in un Lazio-Juventus disse che…”. Geniale argomentazione. Rispecchia un malcostume fantasticamente italiano di cercare, quando uno subisce un torto o un’offesa, uno scheletro nell’armadio che annulli l’insulto perché “Anche lui, cazzo parla oh?”. Teorema su cui peraltro la politica italiana stessa ha costruito indegni mostri che troviamo con gaudio comodamente seduti in Parlamento. Cosa rispondere a coloro? Che magari Mancini ha imparato a usare il suo cervello, o che andare in Inghilterra potrebbe aver contribuito a incrementare il suo livello di civiltà, oppure semplicemente che Mancini abbia detto una cazzata a suo tempo. Quindi un errore commesso giustifica l’insulto ricevuto? Poi un altro aspetto ripugnante: “l’apriorismo di bandiera” italiota per cui se io seguo una fede o un vessillo, tutto ciò che viene compiuto in nome di esso ha una giustificazione e soprattutto è giusto. Quindi se sono dell’Inter tutti gli interisti sono brave persone, se sono del Milan non sia mai che un milanista commetta un peccato, se voto un partito devo difendere sempre e comunque tutte le azioni compiute dagli esponenti. Ognuno di noi nasce con un cervello, che merita di essere utilizzato autonomamente per giudicare con il buon senso ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Senza bandiere che pensino per noi.
“Ma Mancini è gay? Mancini é notoriamente eterosessuale, per cui le parole di Sarri sono solo parole offensive, non discriminanti”. Questa è una posizione che potrebbe diventare addirittura ufficiale a certi livelli. Anche questa foriera di tragiche risate ossia: se l’insulto rispecchia lo status terreno della vittima è gravissimo, altrimenti non “ferisce” veramente. Cioè se urlo a un disabile “handicappato di merda”, sciagura e peste mi colga, ma se lo dico a un calciatore ci facciamo una bella risata? Un giocatore che urla ad un altro “figlio di puttana” necessiterà quindi di una ricerca genealogica sulle abitudini sessuali materne dell’insultato affinché sia punibile in modo deciso? Dovrebbe essere esattamente il contrario dato che l’insulto omofobo o razzista fuori contesto certifica un’assuefazione coprofila mentale grave da parte di chi lo proferisce. Cosa dire della “discriminazione territoriale” e della “mano dura” da avere sui tifosi che fanno “buuu” o urlano cori insultanti verso i rivali e che vengono trattati sistematicamente come criminali nonché puniti sistematicamente? Quindi mille persone che gridano “merda” ai rivali=squalifica e laurea criminis causa, ma un allenatore di Serie A che in preda a un raptus dice “frocio” a un collega ci può stare. Avanti Savoia.
"Sarri non ha fatto nulla di male. Anche io ho amici gay, sono brave persone". Sempre meglio, capolavoro. Una ventilata amicizia funge da passepartout verbale per dire qualsiasi cosa. La frase "sono brave persone" attesta meravigliosamente le percezione della tematica in Italia: è una setta, una sorta di circolo chiuso (e vizioso). Ma da quando le abitudini sessuali influenzano il comportamento sociale? Esisteranno omosessuali rispettabili e altri meno, ci saranno eterosessuali rispettabili e altri meno, ci saranno schiavi del sesso a pagamento rispettabili e altri meno, così come esisteranno eunuchi rispettabili e altri meno.
Ciò che infine resta è il dispiacere umano nei confronti di Sarri, che evidentemente ha dei pregressi non molto sereni in tema di anatomia maschile, ma dispiace soprattutto constatare la leggerezza con cui, nel nostro Belpaese, viene affrontato un tema, quello dell’omosessualità, che costringe persone a vivere nell’ombra e nella paura di essere ferite ogni giorno, fino a spingere al suicidio giovani ragazzi vittima delle deficienze altrui.
Questa è la nostra Italia e il nostro calcio, che piaccia o no, e di fiori se ne scorgono davvero pochi.
Domandato a un tale qual cosa al mondo fosse più rara, rispose: "Quello che è di tutti, cioè il senso comune". G.Leopardi
© RIPRODUZIONE RISERVATA