editoriale

Desculpe, qual es la direccion para Madrid?

Avremmo assecondato qualsiasi follia pur di esserci. E infatti fu esattamente quello che ognuno di noi, a suo modo, fece. Da quel triplice fischio bagnato dagli idranti del Camp Mou, da quella impresa costruita nei 90 minuti più lunghi della...

Sabine Bertagna

Avremmo assecondato qualsiasi follia pur di esserci. E infatti fu esattamente quello che ognuno di noi, a suo modo, fece. Da quel triplice fischio bagnato dagli idranti del Camp Mou, da quella impresa costruita nei 90 minuti più lunghi della storia (fischia arbitro fischia!), da quella frase gettata lì come solo un sovrano può fare avendo la matematica certezza che i suoi sudditi lo ascoltino, da tutto queste cose il sogno iniziò a materializzarsi. Andare a Malpensa e tirare le 4 di mattina in un mercoledì notte di una settimana lavorativa fu la cosa più normale del mondo. Cori, striscioni, caroselli: l'aeroporto era la nuova curva di una nuova era. Quella che sa che sta prendendo il volo verso paradisi mai visti.

Neanche lui avrebbe mai pensato che ad aspettare la squadra fossimo così tanti. Una moltitudine in estasi. Poi incominciò la caccia al biglietto. Non si parlava d'altro. L'ossessione cresceva giorno dopo giorno e quel 22 maggio era già scolpito feroce nei nostri cuori. C'è chi passò una notte (i primi della coda anche di più) in via Massaua, come fosse una cosa normale, fregandosene degli acquazzoni maledetti, di dover dormire in una tenda per terra, amazzando il tempo che passava lento e ingannandolo con l'unico pensiero possibile. E poi finalmente quel biglietto stretto tra le mani e il pensiero successivo: cercare di arrivarci in qualche modo, a Madrid, fosse anche in autostop o a piedi. C'è chi era riuscito ad accaparrarsi un pacchetto vado e torno con la mitica Jakala (mitica nel senso che nessuno di noi la potrà mai dimenticare), litigando per salire sullo stesso aereo del compagno o degli amici e dovendo bestemmiare con una disorganizzazione che sembrava volerci ricordare che dopo 45 anni non eravamo ancora preparati all'evento.

Poi da lì sembrò tutto estremamente facile e intenso. Madrid, il Bernabeu e che sole! In campo si stava scrivendo la leggenda. Non ci fu traccia di paura in quella partita. Sembrò tutto così normale. Così perfetto. La finta del Principe che mentre abbozzava l'ombra di un movimento ne stava già realizzando un altro. Quello vincente, quello definitivo. Le lacrime incessanti sugli occhi di tutti. Nessuno escluso. La gioia e la improvvisa convinzione che valesse davvero la pena aspettare così tanto. Una stagione consacrata da una incomprensibile consapevolezza. Talvolta, per realizzare cose che sembrano normali, bisogna essere straordinari. E noi, senza ombra di dubbio, lo siamo stati. Ah, se lo siamo stati...