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Se dici Lazio-Inter pensi subito ad una partita. Ma nell'ultimo appuntamento di quest'anno si può al massimo cadere su quel cuscino che ci siamo cuciti faticosamente (soprattutto) nelle ultime partite dell'anno. Un cuscino che ha la cartina dell'Europa in rilievo, anche se non quella di primissima serie. Ma in qualche modo, conta sempre. Stramaccioni promette un'Inter battagliera, anche se con meno qualità. Quella in porta sarà la più evidente a mancare, anche se nell'insieme tutto il collettivo da un certo momento in poi della partita, va in evidente sofferenza. Il primo tempo la squadra nerazzurra tiene il campo in maniera sicura, non rischia e qualche volta tenta l'affondo. Milito segna su rigore e chiude il primo tempo in una modalità positiva. Il problema é che poi, nel secondo tempo, prendiamo un gol e da lì la nostra insicurezza incomincia ad alimentare precipitosamente concedendo spazio prezioso alla sicurezza degli avversari. E sì, in campo ora c'è anche la Lazio. E l'Inter a tratti rincorre, a tratti si chiude in difesa per non cedere il fianco, che l'avversario ha puntato. Le colpe a fine partita si dividono equamente. Chi ha tentennato in difesa, chi non ha coperto con dovizia (sobbarcando di doppio lavoro i compagni) e chi ha preso un palo. La compattezza quadrata e ordinata del derby è solo un ricordo e i motivi possono essere diversi. I gol alla fine diventano tre, la reazione non scatta puntuale come in altre occasioni. Non è una partita egregia. Fatto è che una partita così, nell'economia di una stagione, ci può assolutamente stare. Ma se in nove partite devi recuperare gli sbagli di un intero campionato non puoi pensare di farcela. Ci puoi provare, questo sì. E noi ci abbiamo provato. Davvero.
É vero. Un po' ci avevamo creduto. Se misuriamo le nostre aspettative in relazione alle ultime nove partite (una piccola stagione che fa storia a parte) il boccone che mastichiamo é amaro. E dato che Strama a pagare per errori non suoi non ci sta, non possiamo non essere orgogliosi di questo finale di stagione, dove l'Inter ha cercato di rinobilitare in tutti i modi l'annata. Alcune partite molto belle come quelle contro l'Udinese e il Milan ci hanno mostrato anche un bel gioco e non si sono limitate a solleticare solo l'orgoglio, che in tanti comunque davano per perduto. C'è che dopo la partita con la Juve, costata l'esonero a Ranieri, trovare gli stimoli per tirare la fine della stagione stava diventando un'utopia. In bilico tra la stanchezza, la delusione e una svogliatezza da ultimo giorno di scuola. E invece, a portata di mano c'era lui. Uno giovane, con le idee molto chiare, disposto a battersi per dimostrarne l'efficacia. Voglioso di quella panchina nerazzurra dalle mille complicazioni, che o la ami e la desideri fortemente oppure prima o poi ti tocca andartene. Lui la interpreta da subito con una facilità che scivola via senza incomprensioni, convince e ha negli occhi quel pizzico di sfida (e follia) che questa squadra esige da chi la rappresenta. Non aver paura di batterti per noi. E lui la paura non sa nemmeno che cosa sia.La stagione, dicevamo. Una stagione complicata. Iniziata con la fuga di Leonardo e l'improvvisa quanto imprevista ricerca di un allenatore. L'arrivo del Gasp e una maledetta estate di calciomercato a capire chi sarebbe partito e chi sarebbe rimasto. Eto'o fa le valigie a fine agosto e con lui se ne va un'epoca tremendamente vincente. L'Inter inizia il campionato, dopo aver perso la Supercoppa, ma lo fa a tentoni. Le sconfitte sembrano destinate a ripetersi, a Novara é chiaro a tutti che la gestione é fuori controllo. Al Gasp succede Ranieri. Il quale rimette l'Inter in carreggiata, facendo cose normali e aggiustando il momento critico con le pezze di sua conoscenza. Quando anche le cose normali non bastano più, quando questa squadra che ha dato tanto e tra le righe sembra implorare il giusto riposo, le cose si mettono nuovamente male. L'annata maledetta che Ranieri accarezza come causa di tutti i mali non è un'invenzione, ci mancherebbe. A fine stagione è chiaro a tutti che ricostruire dovrà essere un imperativo, non una scelta. Ma ci sono brutte sconfitte e dopo la vittoria nel derby l'Inter affronta una piccola discesa verso l'inferno. Contro il Lecce meriterebbe di vincere, da quella partita in poi arrivano cocenti molte delusioni. Il culmine, la disfatta contro la Juve. Se esiste una ricetta per scuotersi bisogna adoperarsi per trovarla. Ed è questo che Moratti, a dispetto di tutti, fa. Una decisione di pancia, ma anche di testa. Le follie vanno pianificate bene. Il resto è storia di oggi. Ma soprattutto, di domani. Sì, domani è un altro giorno. Finalmente.
Twitter @Sbertagna
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