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Quel che rimane di Juventus-Inter è una sensazione talmente fastidiosa, da essere difficilmente traducibile in parole. È la conferma di una caduta rovinosa, della quale alcuni avevano individuato preventivamente le coordinate. È la sensazione di impotenza (ancora lei), che ha praticamente pervaso tutti gli ultimi campionati. Quei campionati in bilico fra la mediocrità e la speranza che finalmente l'anno zero fosse arrivato. E invece, a furia di invocarlo, l'anno zero è diventato un desiderio che si archivia, con cadenza ormai regolare, in soffitta nella scatola dei rimpianti. In attesa di riesumarne uno nuovo.
Juventus-Inter ha detto diverse cose sul piano tecnico e nessuna di queste può lasciare il pubblico interista soddisfatto. Non era per nulla soddisfatto neanche Piero Ausilio, che ha sostituito un febbricitante Mancini ai microfoni nel post partita e che ha sparato a zero contro gli interpreti in campo. Sembra essere arrivato il momento di spartirsi le responsabilità e i giocatori, soprattutto ieri sera, non ne hanno poche. Ma se la società ribadisce pubblicamente (e logicamente) la serietà del progetto con Mancini come allenatore, Roberto non può non essere esente da critiche. Alcune mancanze in campo (non gli errori grossolani, quelli su un campo di serie A non si dovrebbero proprio vedere), l'atteggiamento del collettivo e le scelte che in questo periodo non si parlano con i risultati (nel senso che sono su due pianeti diversi) vanno imputati, almeno in parte, al tecnico. Il gruppo è spaesato, forse di nuovo impaurito. I passi in avanti fatti fino a Natale sono stati velocemente cancellati da una bufera che non accenna a placarsi. Il filotto di vittorie per 1 a 0 sembra quasi appartenere ad un'epoca lontana.
Ma ciò che più perplime della partita di ieri sera è l'atteggiamento. La Juventus, molto furbamente, si è caricata in vista della sfida condendola di sfumature che questa sfida probabilmente nemmeno aveva. Bonucci l'ha affrontata al grido di "affossiamoli". La paura di Allegri era probabilmente quella di sottovalutare i nerazzurri. Ma tutto ciò che ha dovuto fare la Juventus con l'Inter è stato aspettare. Aspettare le mosse dei nerazzurri e le loro generose regalie. Il cinismo era lì pronto ad affondare un avversario che aveva tantissima voglia di farsi male da solo. La cattiveria che si traduce nella più abile ottimizzazione delle situazioni. Abbiamo spazzato via un'altra concorrente per la lotta allo scudetto, ha sottolineato Allegri a fine partita. Ma a vedere i nerazzurri ieri, di corsa allo scudetto, non c'era nulla. Nemmeno una pallida intenzione.
La vera tristezza è che si è affrontata la partita di ieri come se l'avversario si chiamasse Sassuolo, non Juventus. Quand'è che abbiamo perso la percezione di quella che è sempre stata una battaglia agguerrita? Le partite non sono tutte uguali, no. Ci sono partite che la storia ci ha insegnato ad onorare con un'attenzione particolare. Partite che nascondono ferite mai veramente cicatrizzate. Partite nelle quali metterci qualcosa in più è un dovere. E metterci qualcosa in meno una sorta di disonore. Avremmo voluto interrogare, uno ad uno, i giocatori scesi in campo ieri sera con la maglia nerazzurra. Avremmo chiesto loro che cosa significasse quella partita per ognuno di loro, oltre ad una ovvia occasione per guadagnare tre punti fondamentali nella rincorsa agli obiettivi. Ci sarebbe piaciuto intravedere un guizzo di cattiveria negli occhi di ognuno di loro al posto dei sorrisi rilassati, tipici di una partita che ha i contorni di un'amichevole. Perché un gruppo può non essere fatto di soli campioni, ma non può prescindere dall'avere in campo 11 uomini. Ecco, dopo aver assistito incazzati e un po' rassegnati alla partita di ieri ci sarebbe piaciuto fare tutte queste domande. Probabilmente, però, le risposte non ci sarebbero piaciute per niente. Una volta lo chiamavamo semplicemente il rumore dei nemici. Ora non sappiamo nemmeno più come chiamarlo.
Twitter @SBertagna
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