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editoriale
Contava il risultato. Contava pesantemente il risultato e questo per una lunga serie di inderogabili motivazioni. La panchina, il morale, il presidente, la squadra, il gruppo, i tifosi. E ovviamente i gufi. I segnali positivi ieri non sono mancati. La qualificazione, per esempio, con un turno di anticipo. La partita con il Twente si è svolta in costante oscillazione tra passato e presente. Il passato glorioso, quello dell'Inter cinica che annienta le squadre con personalità e goleada e poi il presente con un numero infinito di indisponibili, tanti giovani e quel vorrei tanto, ma la palla non vuole entrare. Non è stata una partita eccellente, anche se a sprazzi qualcosa di familiare si è intravisto. E' stata però una partita fondamentale. Una sorta di risveglio dal torpore scaturito da quella cosa che si chiama cuore. Orgoglio. Il Cuchu e Deki hanno dato tutto. Eto'o si è fatto il solito mazzo, molto defilato come posizione ma in grado di fare piccole magie che fanno bene agli occhi e al cuore. Wesley sembrava un pianoforte già più accordato (quella punizione sulla traversa...) e Pandev, seppur non velocissimo, ha rischiato ancora una volta di segnare. Poi certo, il tifoso della tripletta (il peggiore, aggiungerei) si accomoda allo stadio pronto a vomitare banalità dall'inizio alla fine (ma in questi casi il divano di casa propria non sarebbe una soluzione più comoda per tutti?), condite da insulti ai propri giocatori e confezionate in slogan surreali (basta giovani! no, perchè voi in panchina oltre a Rafa e ai giovani chi altro vedevate seduto?!?). Tant'è.
La crisi, beninteso, è tutto tranne che superata. Ma affrontarla con il passaggio del turno in tasca è tutta un'altra storia.
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