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Non ci potevano credere. Cioè, un assist così succulento non gli capitava da quanto? Da prima che Mourinho varcasse il territorio di questa ridicola nazione? Sembrava che tutti stessero aspettando esattamente questo frangente. Per consacrarlo insieme al resto della refurtiva. Per dire siete uguali a noi. Per ritornare ad essere sprezzanti in quel clima di gongolante sostegno. La solitudine non ci ha mai spaventato e se avevamo qualche dubbio è stato sufficiente sfogliare i giornali (no, non quello di Torino. Ho detto giornali) per comprendere che cosa significasse sentirsi così. SOLI. Palate di fango precise: allora erano illeciti, allora anche l'Inter doveva essere deferita, allora gli onestoni non esistono. No, purtroppo non credo esistano. Perché se esistessero qualcuno li saprebbe riconoscere in questo maledetto paese e li indicherebbe dicendo: da grande voglio diventare così. Ma i probi in Italia sono altri. Sono quelli che vedono quello che vogliono vedere, a fasi alterne. Che sono coraggiosi perché prendono sul serio un esposto basato sulla colpevolezza di chi lo presenta. E guai a chiamarli "quella gente lì". Potrebbero offendersi. Le buone maniere prima di tutto.
"Ho voglia di spaccare tutto, Facchetti era pulito." Beh, quando ho letto le dichiarazioni di Gigi Riva mi è venuto quasi da piangere. Ho pensato per un attimo alla loro generazione. A quei principi saldi ai quali i compromessi non osavano nemmeno attecchire. A quella mentalità semplice, pragmatica, silenziosa. Ai pensieri pesanti che erano abituati a condividere solo con la loro coscienza. Essere leali non era una scelta, loro erano cresciuti così. Lontani dagli intrighi di palazzo, dalle congetture e dalle cose sporche. Dietro alla faccia severa un barlume romantico: nonostante tutto, loro, ad un mondo migliore non avevano e non hanno mai smesso di credere. Penso a loro come potrei pensare a mio nonno, che quando salutava si levava il cappello. Penso a quei piccoli gesti apparentemente insignificanti che una volta disegnavano il perimetro del buon senso e che adesso si perdono in un mare sregolato in cui il concetto di giusto è il frutto di curiosi esercizi di fantasia. E non c'è proprio da stupirsi se è nuova usanza insultare chi non c'è più.
Devo sfogliarne di giornali prima di trovare una definizione equilibrata del Giacinto che tutti noi conosciamo. Me lo immagino proprio così. "Con quel sorriso da buono irrimediabile". Uno scatto rubato a chissà quanti momenti della sua esistenza. Una fotografia veloce e schietta come l'indole catturata. "Con quel sorriso da buono irrimediabile". Lo stesso sorriso di Gigi Riva e di mio nonno. E ancora mi chiedo, e non mi spiego, come non si possa provare vergogna nel cercare di chiamarlo con un altro nome.
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