editoriale

Il calcio ai tempi di Twitter

Sabine Bertagna

Per ricostruire il malumore di Wesley Sneijder nei confronti della stampa italiana è sufficiente seguire il giocatore olandese su Twitter (@sneijder101010). Tutto parte da un’intervista del giocatore nerazzurro rilasciata ai microfoni...

Per ricostruire il malumore di Wesley Sneijder nei confronti della stampa italiana è sufficiente seguire il giocatore olandese su Twitter (@sneijder101010). Tutto parte da un'intervista del giocatore nerazzurro rilasciata ai microfoni olandesi. Un'intervista riportata su tutti i siti, giornali e tv italiani. Wes non gradisce la traduzione o meglio l'interpretazione data alle sue parole (che si sa, pronunciate in terra straniera assumono sempre sfumature vagamente più ambigue) e twitta lapidario:The Italian journalists who think they are great at translating, should go back to school or just be quiet. Per essere sicuro di far arrivare il messaggio anche a tutti quei giornalisti analfabeti che non conoscono bene l'inglese (figuriamoci l'olandese) ritwitta lo stesso concetto anche in italiano. Tornate a scuola, giornalisti. O in alternativa non stressate.

Deve rappresentare sicuramente fonte di enorme stress per qualsiasi ufficio stampa la consapevolezza che un tweet banale possa diventare piuttosto pericoloso. In apparenza inoffensivo, il social network più amato dai calciatori e dai giornalisti sportivi, permette di sbirciare nelle vite di campioni altrimenti irraggiungibili sul campo. E così i tifosi si scatenano e lusingano il campione di turno (come hanno fatto i sostenitori del Manchester United con Wesley quest'estate) implorandogli di venire nella propria squadra, lo incitano prima di una partita, gli chiedono semplicemente un retweet per poterne fare sfoggio con gli amici. Per sentirsi parte del suo stesso mondo.

Perché Twitter ha stregato così tanti calciatori? Perché permette loro di godere di tanta fama senza che per questo si debbano esporre troppo. Perché non ha nulla a che vedere con il concetto di amicizia di Facebook, che esige che la richiesta venga accettata e quindi ricambiata. Perché si possono avere milioni di followers che ti seguono, senza per forza doverli seguire ed essere quindi invasi dalle vicende personali di ognuno di questi. Aggiungiamoci che è veloce, sintetico e immediato e abbiamo detto tutto. Il futuro della comunicazione in 140 caratteri.

Ma nella gara a chi colleziona più followers ogni tanto ci si dimentica che tutto quello che viene twittato ha un discreto peso. E quindi se non stai giocando per un infortunio, ma condivi la tua vita privata (spesso notturna) con foto, pensieri e tatuaggi devi assorbire il concetto che essere "giudicato" da chi ti segue fa parte del gioco. E' banale ed è spesso ingiusto, ma è abbastanza prevedibile. Questo elemento pesa soprattutto in una situazione di "crisi", quando la squadra non gioca bene e ci si aggrappa a qualsiasi spiegazione pur di trovarne la causa. E allora lo sfogo di Wesley è in parte comprensibile perché rompe una tensione che si è creata intorno all'Inter e l'olandese sembra quasi volersi rifare di articoli poco lusinghieri sulla sua stagione altalenante. Non ci sono rimedi ad un meccanismo antico (quello tra stampa e calciatori), che funziona così da sempre. I giornalisti potrebbero senz'altro sforzarsi (alcuni lo faranno, altri meno) di essere più fedeli alla realtà dei fatti evitando voli pindarici disegnati dalla voglia di scoop. Ma i giocatori avranno un solo modo per metterli a tacere. Solo ed esclusivamente sul campo. Di certo non su Twitter.

Twitter @Sbertagna