editoriale

Incubi di un pomeriggio di tarda estate

Succede che Giuseppe, detto Peppe, di ritorno in Sicilia da un viaggio di lavoro in America durato settimane, tra jet lag e stanchezza si ritrovi a svegliarsi il lunedì mattina. Lui, tifoso della Beneamata, chiede dell’Inter e il figlio...

Lorenzo Roca

Succede che Giuseppe, detto Peppe, di ritorno in Sicilia da un viaggio di lavoro in America durato settimane, tra jet lag e stanchezza si ritrovi a svegliarsi il lunedì mattina. Lui, tifoso della Beneamata, chiede dell'Inter e il figlio Carmine (tifoso del Palermo) gli dice che ha perso in casa 4-1. Superata a fatica la scioccante notizia post risveglio, Peppe si chiede chi possa aver provocato tale catastrofe. Subito pensa a Real Madrid, Barcellona e Chelsea, ma in un amen rammenta che questo è materiale da Champions League e tu, col 5° posticino dello scorso anno è già tanto se giochi l’Europa League, la Champions di polistirolo. Successe in Serie A quindi. Un brivido corre veloce lungo la schiena e pensa… minchia, il derby! Ma riesce a vivificare nella mente la linea difensiva rossonera: Zapata, Rami, Mexes, Bonera no, non è possibile aver segnato solo un gol al Milan. Sconsolato, Peppe trova la risposta: ok, Juventus o Roma ci hanno piallato. Vabbè, umiliante, ma ci può stare. Nemmeno. Terribile vendetta di Strama? Tu quoque... Acqua. La Fiorentina di Montella? Ma gioca senza attacco… Alla fine, stremato chiede la risposta a Carmine e confida che si tratti di uno scherzone idiota da adolescente. Tre sillabe, impietosamente, tagliano in due l'aria: “Ca-glia-ri. Il capitano era u'giappunes' che è stato espulso dopo 27 minuti per due falli a centrocampo nel giro di 180 secondi. Dai papà, anche noi ne abbiamo prese 4 in casa dalla Lazio, ti ricordi che Mazzarri dopo l'1-1 di una settimana fa disse "a Palermo non vinceranno in tanti, ahahah". La ferale notizia e la beffarda risata del figliolo portano Peppe a impugnare la katana che ha comprato a Okinawa, durante il suo viaggio di nozze, per farla finita, ma sceglie di crollare in uno stato di incoscienza consapevole perché si rifiuta di udire qualsivoglia altra parola.

Con il massimo rispetto e anche di più per Zdenek Zeman, arguto e capace allenatore dalla rada ma mai banale favella, nonché per tutti i tifosi della storica squadra sarda, la sconfitta patita domenica è ingiustificabile ma soprattutto allarmante. Tremendamente allarmante.

Ora, possiamo sempre come succede in questi casi, metterci dinanzi a un bivio e assumere un duplice atteggiamento: da Fedayn dell’ottimismo - ossia “È stato un incidente di percorso” - o da Marchese di Roccaverdina – ovvero “qui ci attende una stagione come quella dell’anno scorso se non peggiore”.

La risposta, come sempre, non c’è, ma la matematica è un indubbio elemento di aiuto: 8 punti in 5 partite (di cui 3 in casa), tutte contro squadre di cifra medio-bassa, significano che con un rendimento simile dopo 38 partite, ossia a fine campionato saranno totalizzati circa 60 punti. Esattamente come l’anno scorso. Se va bene.

Lecito quindi attendersi un’annata globalmente mediocre con l’aggiunta dell’incognita Europa League, competizione sfiancante, poco fascinosa e per nulla redditizia? Vero è che i presupposti della stagione erano improntati verso un moderato ottimismo, un’Inter certamente inferiore alle più forti Juventus e Roma, ma sicuramente rinnovata con innesti celebrati più o meno da tutti: da Vidic a Medel a Osvaldo al giovane Dodò, preso a pesci in faccia da Ibarbo domenica. Mazzarri peraltro è apparso più sereno rispetto allo scorso calendario.

Dopo la tripletta di Ekdal (zitti! bocche cucite con Peppe se no è harakiri matematico), tutto è stato violentemente rimesso in discussione. Prestazione non spiegabile solo con l’espulsione di Nagatomo. Già, Yuto Nagatomo. Eletto capitano ieri in luogo di Andrea Ranocchia. Una delle tante scelte discutibili che ripropone la questione delle fondamenta su cui la nuova Inter si sta costruendo. Una squadra che ha un capitano che 6 mesi fa era a una biro dal Galatasaray e un vice che a Cesena giocava sì e no. 

Un allenatore che purtroppo fino a ora guida una squadra che è incapace di esprimere un qualsiasi tipo di calcio se non grazie a vampate dei singoli più dotati e che, cosa più preoccupante, è stata sovrastata sotto tutti i punti di vista dai seguenti: Cragno, Balzano, Ceppitelli, Rossettini, Avelar, Dessena, Crisetig, Ekdal, Ibarbo, Sau, Cossu. Rileggo due-tre volte ma non scorgo nomi da aurea sfera.

Si è parlato di giocatori stanchi. A fine settembre dopo 5 partite di campionato e 1 di polistirolo League? Balla inaccettabile.

Si è parlato di motivazioni. Inspiegabile come il 99% degli esseri umani adulti trovi in sé le motivazioni quotidiane per affrontare le sfide e le fatiche della vita, mentre l'1 % rappresentato dai calciatori, professionisti, dallo stipendio allegro, debba essere motivato per giocare a palla da un tale, professionista, dallo stipendio allegrissimo. Misteri del cosmo. 

Si potrebbe invece parlare di inadeguatezza di alcuni elementi per il ruolo che rivestono, ad esempio Mazzarri e alcuni giocatori. Ma di questo si tace.

Il passaggio di proprietà certo pesa enormemente in tutto ciò. Lunghissimo da digerire e metabolizzare. Ma fa ben sperare il percorso avviato da Thohir, con il deciso restyling societario, tantissime le figure cambiate (anche se manca ancora qualcuno per completare l’olio su tela indonesiano…) e atteggiamenti radicalmente mutati rispetto al recente passato. Grazie al cielo niente più bivacchi da campeggiatori del lunedì sotto gli uffici della Saras ad aspettare i ciclici sfoghi di Massimo Moratti a caccia di una frase su cui montare l’ennesimo sgub da copertina, ma presenza silenziosa e percepibile in tutti gli ambiti societari. Colloqui brevi e discreti con i dipendenti, sorriso sempre pronto all’uso e mentalità imprenditoriale da tigre asiatica. Ci vorrà ancora tempo e pazienza da bravi tifosi, con la consapevolezza che bisognerà rassegnarsi essere di tanto in tanto sottoposti a qualche brusco risveglio. Come quello subito da Peppe domenica.