No, non abbiamo giocato bene a Livorno. No, non stiamo facendo un bel calcio. Il calcio è gioco di squadra, armonia, equilibri che si specchiano e quando manca tutto quello che sulla carta promette la vittoria di una squadra sull'altra è semplicemente cuore. Niente di tutto questo è al momento (e non da ieri, a dire il vero) ravvisabile in questa Inter. I fattori sono molteplici e di molteplice interpretazione. E' vero che la rosa ha i suoi limiti, ma sono stati fatti degli acquisti. Gli infortuni non sono stati pesanti come nella scorsa stagione. Le formazioni di quest'anno sono state spesso dettate da scelte monocordi, alla ricerca di un assetto che funzionasse e che regalasse una continuità nei risultati. Con un grande escluso: Kovacic.
editoriale
INTER, HAI PERSO IL TUO MARCHIO DI FABBRICA
No, non abbiamo giocato bene a Livorno. No, non stiamo facendo un bel calcio. Il calcio è gioco di squadra, armonia, equilibri che si specchiano e quando manca tutto quello che sulla carta promette la vittoria di una squadra sull’altra è...
L'Inter non ha testa. Entra in campo poco determinata. Appare inconcludente, spesso svagata. La concentrazione salta, si perdono palloni utili e si permette all'avversario di creare azioni pericolose. Un'Inter passiva, senza voglia. A sette giornate dalla fine del campionato e con l'obiettivo ancora da raggiungere è un dato preoccupante. La superficialità di certe giocate rispecchia questo stato d'animo e ne denuncia la gravità. L'errore clamoroso di Guarin non è che uno dei tanti segnali lanciati in campo dalla squadra. Sul primo gol del Livorno è infatti Ricky a perdere scioccamente una palla. Non c'è armonia di intenti dove non c'è squadra. E qui al momento di squadra non vi è traccia.
L'Inter non ha un'anima. Dove si nasconde la voglia di uccidere gli avversari, di strappargli la palla dai piedi per andare in rete, per uscire vittoriosi dal campo? Gli occhi dei giocatori dicono che c'è un compitino da svolgere ogni domenica, non che ogni domenica c'è una ragione di vita per la quale lottare. Il fatto che si sia tutti sotto esame non è nemmeno lontanamente percepibile nelle partite dei nerazzurri. Nessuna voglia di dimostrare, solo dovere. Ma l'Inter non è questo, ragazzi. L'unico che in questa stagione ha sempre brillato per grinta e determinazione è Jonathan. Nonostante i limiti o gli errori (o proprio in virtù di questi) è sembrato l'unico a crederci fino in fondo. Ad accelerare sulle palle impossibili. A dare fastidio nell'area avversaria sempre e comunque. A crossare perché crossando prima o poi un gol qualcuno lo butta dentro. Si può essere modesti ma non si può cadere nel baratro della rassegnazione. Essere rassegnati vuol dire essere morti.
Sia chiaro, qui nessuno è esente da colpe. Il vero problema è che al momento stanno prevalendo gli interessi personali sull'obiettivo comune. Ognuno ha il suo personale orticello da difendere. Chi è in scadenza, chi ha appena rinnovato, chi non sa che ne sarà del suo futuro e chi alla fine di ogni partita deve dare un senso e una giustificazione alle proprie scelte. Vedo tanti piccoli io che si affacciano, ma non vedo il noi. Il nuovo assetto societario, con tutti i cambiamenti in atto, dovrebbe essere uno stimolo, non un freno. Essere parte dell'Inter del futuro presuppone che si dia il massimo nell'Inter del presente. Le due cose sono inevitabilmente legate. Qui invece sembra di essere in un'aula negli ultimi giorni di scuola. Preoccupa anche la distanza presa da Mazzarri rispetto a quanto visionabile in maniera evidente sul campo. Al di là del gioco che stenta e del quale il tecnico non può essere soddisfatto c'è il fattore mentalità. Questa è davvero una delle poche cose che è di quasi assoluta competenza di un allenatore. La mentalità si infonde fin dagli allenamenti. La cattiveria si trasmette. Le ambizioni si stampano nelle intenzioni dei propri giocatori. Il vero grande assente è proprio questo. Il marchio di fabbrica di chi lotta. Di chi lotta e non molla. Mai.
Twitter @SBertagna
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