editoriale

L’animale morente

Sabine Bertagna

Nel calcio non c’é nulla di scontato. Un buon primo tempo non rappresenta sempre la giusta premessa, il movimento eseguito perfettamente non termina necessariamente con la palla in rete, un rigore conquistato non é tenuto in nessun modo a...

Nel calcio non c'é nulla di scontato. Un buon primo tempo non rappresenta sempre la giusta premessa, il movimento eseguito perfettamente non termina necessariamente con la palla in rete, un rigore conquistato non é tenuto in nessun modo a rendere meno desolante una serata carica di rimpianti, salvandone il finale. Anzi. Talvolta ne é la fotografia spietata di ciò che non funziona, nonostante il desiderio quasi disperato di farlo funzionare. Niente va come dovrebbe andare all'Inter, di questi tempi. C'é chi ne individua il peccato originale nell'alba successiva al (lontanissimo) trionfo del Bernabeu, chi é sicuro di aver letto nelle ultime stagioni segnali preoccupanti quanto sottovalutati, chi non riesce a non pensare alla voce cessioni e a trovare adeguato sollievo scorrendo quella degli acquisti. Quando le cause sono così diverse e concomitanti la situazione non può che essere grave. E come tale andrebbe trattata.

Smettiamola con tutti quei discorsi patetici che ci vorrebbero tra le prime tre della classifica solo perché ci chiamiamo Inter. Ci stiamo facendo del male da soli. Smettiamola di difendere i ricordi. Non saranno loro a salvarci. La squadra soffre di una preoccupante dipendenza dalle antiche gerarchie. Per quale motivo dobbiamo vedere l'ombra di Milito aggirarsi per il campo, senza agganciare un pallone, figuriamoci metterlo in rete? Perché? Per riconoscenza? Masochismo? Speranza di assistere alla resurrezione dell'uomo del triplete? Non scherziamo. In questo momento non possiamo permetterci di scendere in campo per ridare fiducia a chi l'ha persa, scendiamo in campo per raccogliere punti. E chi non riesce in questo momento ad offrire prestazioni dignitose deve accontentarsi della panchina. Questo vale per tutti, nessuno escluso.

Ieri l'Inter ha disputato un composto primo tempo e a dispetto di tutti i luoghi comuni che quando agognano la favola perfetta fingono di non vedere alcune sfumature, l'Udinese di meraviglioso non aveva nulla. Ma come vi abbiamo anticipato nella premessa, nel calcio non c'é nulla di scontato. E quindi i friulani, nel secondo tempo, complice il solito divario di ritmo (Inter non corriamo!), hanno incominciato a pungere in contropiede trovando gli spazi giusti e la rete. Non é un caso che la squadra nerazzurra abbia tenuto fino al momento del cambio di Faraoni, autore di un'ottima prova, privo di timidezze e dispensatore di cross dei quali non avevamo più memoria. Tolto il giovane nerazzurro, ardito in attacco ma soprattutto oculato in fase difensiva, ci siamo inevitabilmente scoperti. E all'atavico problema di non riuscire a buttare la palla in rete abbiamo aggiunto quello rischioso e senza soluzione di non riuscire a contenere gli avversari. Non basta parare un rigore, non basta poterlo tirare qualche manciata di minuti dopo. Semplicemente nulla di ciò che abbiamo fatto finora è lontanamente sufficiente o utile.

Sarà un anno maledetto, conviene farci l'abitudine. Nell'attesa che i giocatori fondamentali riacquistino la forma e soprattutto la testa necessarie a fare la differenza in campo, abbiamo una serie di giovani ai quali dare una seria possibilità. Inutile fischiare l'inesperienza di Alvarez, Coutinho o Castaignos. Loro andrebbero incoraggiati, non bruciati in nome di una frustrazione che ha altre origini. C'é una parte di Inter che ha dato tutto e che non riesce, per un motivo o per l'altro, a dare di più. O ci ritiriamo o proviamo a salvarci. Quindi dentro chi corre, chi regge i 90 minuti, chi inquadra la porta. Non possiamo fare grandi programmi per il momento. Sopravvivere a serate come quella contro l'Udinese é già abbastanza faticoso. Si vedranno i primi risultati quando la squadra scesa in campo avrà in testa un solo comune obiettivo martellante. La salvezza. Salvare l'Inter. Non se stessi, non il ricordo ingiallito di ció che non siamo più da tempo, non la speranza di ciò che saremmo potuti essere. Gennaio, e il mercato riparatore, sono ancora molto lontani. Troppo...