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editoriale
La festa, prima di tutto. Il dovere di cronaca, se avanza del tempo. E spesso non ne avanza perché la tentazione di poter raccontare la favola perfetta, quella che da qualsiasi lato tu la giri ti sembra impeccabile, rappresenta un peccato giornalistico abbastanza comune, ma non per questo meno grave. Non abbiamo grosse pretese, in fondo. Ci basterebbe poter leggere quanto succede, senza avere sempre quella fastidiosa sensazione, quasi un prurito, che qualcuno vada protetto più di altri. Quindi non esiste credo nessuna spiegazione plausibile all'atto di glissare sui fatti accaduti durante la festa rossonera in piazza Duomo, a maggior ragione se a farlo è il massimo quotidiano sportivo. Un gruppo di "spiritosi" ha infierito sui vagoni della linea rossa della metropolitana, bloccandone la circolazione. I cori contro Samuel Eto'o etichettati come semplici cori contro uno dei tanti giocatori odiati. Senza raccogliere quegli istinti razzisti, che li avevano gonfiati. Piuttosto ci si poteva chiedere (Sorrentino su Repubblica l'ha fatto) perché in un momento di così grande gioia un popolo in festa si dovesse scagliare contro un giocatore corretto, che non li aveva provocati né fuori né dentro al campo. Perché bruciare quella maglia rossonera con il nr.18 (la maglia di Leonardo?) O perché a risuonare tra gli echi della festa fosse soprattutto il bisogno quasi fisico di cancellare con uno scudetto meritato, ma tutto sommato non straordinario, cinque anni di insopportabili festeggiamenti e gongolamenti nerazzurri.
E proprio in virtù di quell'onestà intellettuale che il titolo di questo editoriale millanta, non possiamo sottrarci ad alcune considerazioni in merito alla partita di stasera. Il risultato - per la precisione il miglior risultato possibile per entrambe le squadre - accontenta tutti e suggella il raggiungimento degli obiettivi rimasti sulla piazza. Dopo un primo tempo e un avvio di ripresa vivaci e giocati come si conviene, accontentarsi diventa una scelta quasi naturale. Si tiene palla e si punge poco. Non ce n'è bisogno. E' festa grande (soprattutto per i partenopei), ma se vogliamo essere sinceri, per chi ama il calcio, l'assenza di cattiveria agonistica registrata nel secondo tempo rimane un'opzione difficilmente giustificabile. Il tentennare in campo addormenta gli equilibri tattici, congelando le sorti fino al triplice fischio. Intanto i pensieri volano e si dividono equamentente tra l'ultimo titulo disponibile (la Coppa Italia) e il futuro che sarà. La stagione è stata lunga e particolarmente faticosa. Ma c'è ancora il tempo per rivedere in campo il grande assente di questa annata nerazzurra. Lui. The Wall. Quanto ci sei mancato, Walter...
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